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La Juve, la disoccupazione, la rinascita nell’Arzachena. Curcio, vita da trequartista: “Io e Immobile, poi il buio. Ora mi diverto. La mia Primavera in C avrebbe fatto i playoff”

La vita può essere bellissima quando sei adolescente. Sicuramente, ad Alessio Curcio, classe 1990 e oggi punta di diamante dell’Arzachena in serie C, quel 2006, sembrava un tappeto di stelle.

Avevo 16 anni, fui chiamato ad allenarmi con la prima squadra. Mi stavo legando una scarpa e mi sentii bussare sulla spalla. Era proprio lui”. Lui era Alex Del Piero. “Benvenuto con noi, allenati forte, mi raccomando”. Poche parole per certificare che era tutto vero. Dalle strade di Benevento alla Juventus dei grandi. Era l’anno dopo Calciopoli. Alessio e Alex: un ragazzino che sogna la A e un campione del mondo in B. “Cercavo di rubare ogni segreto. Ero arrivato nel 2004 a Torino su segnalazione di Luigi di Giaimo che mi aveva visto a Napoli in un torneo”, racconta Curcio ai microfoni di gianlucadimarzio.com. Dalla Campania al bianconero, stesso percorso di un coetaneo con cui avrebbe fatto coppia fissa per qualche anno: Ciro Immobile. “Ci completavamo perfettamente. Soprattutto negli anni della Berretti, giocavamo sempre insieme. Lui prima punta, io a supporto”. È stato così fino al 2009. Poi quel tappeto di stelle ha cominciato a diventare scivoloso.

“La dirigenza bianconera ha scelto di non puntare su di me. La mia unica possibilità per rimanere nel professionismo era accettare la proposta della Canavese in Lega Pro, seconda divisione”. Torino dista solo pochi chilometri ma in realtà è lontanissima. Alessio scopre sulla sua pelle quanto può essere dura la vita di un trequartista nelle leghe minori. Soprattutto se giochi fuori ruolo. “Quando sei giovane pensi di potertela cavare sempre. E lo pensano anche gli altri. Però rispetto alle giovanili, cambia tutto. Devi abituarti a prendere calci, a giocare poco palla a terra e a vedere il gioco che diventa mestiere”.

Una sliding door o un imbuto. Per passare dall’altra parte, serve talento, lavoro e fortuna. “Ciro è sempre stato fortissimo, ma è esploso con Zeman nell’anno di Pescara. Per un attaccante, trovare un allenatore così è vitale”.

E così mentre Immobile vinceva la serie B da capocannoniere, Alessio cercava invano l’esplosione a Casale Monferrato. Torino sempre lì, a un passo e ormai irraggiungibile. La Juve lo lascia andare per sempre. Va a Castiglione, poi a Renate, dove si rompe il crociato. Il bianconero diventa un miraggio. Oggi si parla tanto di seconde squadre. Chissà se per la sua carriera sarebbe cambiato qualcosa. “Non lo so, ci sono pro e contro su questa proposta. Ci sarebbe una crescita complessiva del gruppo e i giocatori più tecnici – come me – avrebbero forse dei vantaggi. D’altra parte però la gavetta e il rapporto con gli adulti sono passaggi importanti per la crescita. Giocare per fare risultato accanto a persone che devono sfamare una famiglia, ti porta quella malizia che a livello giovanile non impari. In ogni caso, credo che la mia Juventus Primavera avrebbe di sicuro fatto bene nella serie C di oggi. Probabilmente sarebbe arrivata anche ai playoff. Oltre a lui e Ciro, c’erano Pinsoglio, Iago Falque, Giuseppe Giovinco – fratello della formica atomica – Ariaudo e Marrone. “Un bel gruppo, dove ero libero di esprimermi. Una gioia che ho riassaporato in Sardegna dopo tanti anni”.

Già, perché dopo tanti anni in chiaroscuro, il fantasista sannita ha ritrovato la luce nell’isola. Ripartendo prima da Nuoro, in quella serie D che aveva sempre cercato di evitare. “Dopo l’infortunio al crociato, non mi voleva più nessuno. Solo Giovanni Colella, l’allenatore che avevo avuto nell’ultimo periodo a Renate aveva dimostrato di credere ancora in me, rimettendomi in campo e dandomi forza. Non lo dimenticherò mai. Lui poi andò a Siena e io mi trovai senza squadra. Ricordo che in un pranzo di famiglia cominciammo a valutare piani alternativi al calcio. Eravamo in cinque intorno a quel tavolo: io, i miei genitori, mia sorella e mio fratello. Lui fu quello che mi spinse più di tutti a non mollare”. Meno di due anni dopo, può ringraziarlo. “Il mister Mariotti a Nuoro mi rimise a giocare da trequartista. Era quello che aspettavo per tornare a divertirmi”. Nove gol e cinque assist da gennaio a maggio, la sensazione impagabile di essere tornato. “Grazie a quelle prestazioni, è arrivata la chiamata dell’Arzachena in serie C. L’allenatore Giorico voleva farmi giocare nella stessa posizione. Così sono arrivati 13 gol e 9 assist. Eravamo 25 scommesse, la maggior parte di noi veniva dalla D. Abbiamo perso i playoff per un niente, ma ho ritrovato me stesso”. Alessio oggi ha ancora un anno di contratto e una lunga lista di pretendenti. Un passato bianconero e un futuro finalmente roseo. “Non ho procuratore, gestisco personalmente eventuali richieste. L’unica cosa che m’interessa è la posizione in campo”. Alessio Curcio, una vita da trequartista, nato con i piedi buoni, così diverso dal mediano cantato da Ligabue, suo artista preferito. “Lo dice anche lui che il pallone devi darlo a chi finalizza il gioco…”. L’estate dirà se la sua prossima avventura sarà in Sardegna o altrove. A gennaio, diverse squadre di serie B si erano fatte avanti per lui. Presto i telefoni in Costa Smeralda torneranno a squillare. Un paio d’anni fa si allenava da solo a Benevento e tutto ciò sembrava impossibile. Vita di un trequartista, sempre sul filo fra applausi e fischi. Ma anche a 28 anni si può tornare adolescenti e risentire le stelle sotto ai piedi.