Ultima sconfitta in gare ufficiali. Portogallo? Giugno 2018. Francia? Giugno 2019. Germania? L’altro ieri. Kosovo? 9 ottobre 2017. Poi sei vittorie e quattro pareggi, più altri quattro risultati utili in amichevole. Per anni rincorrendo la realtà, poi superandola. La squadra di Bernard Challandes, che ieri ha battuto 2-1 la Repubblica Ceca di Schick e Jankto volando al secondo posto solitario del Gruppo A (ergo, ad oggi, Europei), ritocca imperterrita il suo record. La nazionale è stata riconosciuta da UEFA e FIFA solo a partire dal 2016, dopo anni di battaglie. Quasi metà della sua esistenza ufficiale l’ha trascorsa da imbattuta.
Kosovo Invictus. Come il colossal di Clint Eastwood e Morgan Freeman che ha raccontato il riscatto del Sudafrica post-apartheid attraverso la nazionale di rugby. Ma ancora di più Ama il tuo nemico, dal nome del romanzo che ha ispirato il film. Perché a differenza del paese africano, reo di soprusi e segregazione razziale prima della svolta Mandela, il Kosovo è stato soprattutto vittima della storia. La guerra che tra 1996 e 1999 ha causato oltre 10mila morti e quasi un milione di deportati (di un paese che oggi non ne conta nemmeno due), il faticoso cammino verso l’indipendenza, gli sforzi per affermare il traguardo ottenuto nel 2008 (quasi la metà degli stati membri dell’ONU ancora non ne riconosce la sovranità).
Anche attraverso il calcio. Il potere emotivo dello sport per accelerare un processo politico l’aveva ben capito Madiba e lo storico presidente della federcalcio locale Fadil Vokkri non è stato da meno. La nazionale gli deve tantissimo, dalla sua morte nel giugno 2018 non conosce ancora la parola sconfitta. Nonostante le ostilità che purtroppo è tuttora costretta a subire. Lo scorso giugno, prima del match di qualificazione a Euro 2020 giocato in Montenegro, il ct serbo Tumbakovic e due giocatori si erano rifiutati di scendere in campo contro i kosovari. Ma nessuna polemica da parte degli uomini di Challandes, lo svizzero più amato di Pristina: hanno fatto la loro partita (1-1 il finale) e il giorno dopo la federazione montenegrina ha subito licenziato l’allenatore. Ama il tuo nemico, appunto.
In questi anni il Kosovo ha imparato a convivere in un clima di diffidenza e malcelata rivendicazione politica, oltre i propri confini. L’alta tensione di Svizzera-Serbia, Mondiali 2018, aveva raggiunto il culmine con l’aquila bifronte della bandiera albanese mimata dopo il gol partita da Shaqiri e Xhaka. Di etnia kosovara, come Dzemaili e Behrami. Empatia e solidarietà da parte di chi ha scelto comunque di continuare a giocare per la rispettiva nazionale. Non come il laziale Berisha, il portiere del Toro Ujkani e la promessa del Werder Brema Rashica, che dalla Norvegia e dall’Albania hanno sposato la causa Kosovo. Regalando il pallone a un paese e inseguendo un sogno matto, eppure straordinariamente alla portata, di nome Euro 2020.
Martedì a Southampton, per la prima volta nella sua giovane storia il Kosovo sfiderà l’Inghilterra. Giocandosi la leadership del Gruppo A nella patria del calcio. Comunque vada, Rashica e compagni hanno già vinto. Ma non diciamolo troppo forte: a Pristina, hanno appena scoperto il piacere di fare sul serio.