L’esultanza nel gol realizzato contro la Pergolettese va ben oltre la gioia momentanea per la rete appena messa a segno. Il sorriso stampato sul viso e le mani che si incrociano per simboleggiare l’aquila albanese: “Ci tenevo tanto a fare gol quel giorno, perché quella era la data (28 novembre, ndr) della festa della Bandiera. Io sono nato in Italia, a Massa, ma i miei genitori sono albanesi e io mi sento albanese al 100%. Nelle mie vene scorre sangue albanese”. Elvis Kabashi ha le idee chiare e non solo sul campo. (Foto Alex Zambroni, ufficio stampa Renate)
Tra i protagonisti della prima parte di stagione super del Renate (primo nel girone A di Serie C, da oggi trasmessa anche su Sky Sport) il centrocampista classe 1994 ha ripreso a sognare e ora non vuole smettere di farlo: “Lo devo a me stesso. Ho trascorso anni pranzando e cenando in treno per non saltare un allenamento: facevo Massa-Empoli (dove ha iniziato il suo percorso nel settore giovanile, ndr) in treno, uscivo un’prima da scuola. Per arrivare puntale cenavo durante il viaggio. Lo devo a me stesso e prima ancora ai miei genitori che hanno fatto tanti sacrifici per me”. E che presto potrebbero vederlo indossare la maglia della nazionale albanese, visto che Reja lo stima e lo sta facendo seguire con attenzione: “Io non so nulla, ma dico solo una cosa: se così fosse, realizzerei il sogno mio e di quello dei miei genitori", ammette a GianlucaDiMarzio.com.
Sul fianco ha un tatuaggio speciale, in lingua albanese ovviamente. “Pa Zotin, njeriut si qesh shpirti... è una frase che mi disse un giorno mia madre e che mi ha segnato molto. ‘Senza Dio, alle persone non gli sorride il cuore’”. Gli insegnamenti della famiglia e la fede lo hanno aiutato molto a superare i momenti delicati, quando dopo la trafila giovanile all’Empoli prima e alla Juve poi sembrava essersi “perso”. “Alcune scelte sbagliate sì, ma non ne voglio parlare. Penso solo al presente”. Che si chiama Renate: “Il merito della mia svolta è all’80% dell’allenatore, Diana. Io non cerco altro che fiducia, quando ho quella…”. E i risultati si vedono: “Il Renate è una famiglia composta da persone meravigliose, dal presidente al magazziniere. È una società sana, non abbiamo mai ricevuto lo stipendio con un minuto di ritardo, nemmeno durante il lockdown”.
Antonio Conte e le panchine con la Juve
3 gol e due assist nelle prime 13 gare di campionato, duttilità (può giocare nei due in mediana, mezzala in un centrocampo a tre o nei due trequartisti), qualità e leadership. Una seconda vita ad appena 26 anni per Elvis Kabashi. La prima? Un giro sulle montagne russe. I picchi più alti vissuti nel settore giovanile della Juventus, con Antonio Conte che spesso lo faceva allenare con la prima squadra: “Era la stagione 2012/2013, sono stato due volte in panchina anche. Una in campionato contro l’Udinese, l’altra in Coppa Italia contro la Lazio”. Ricordi indelebili: “Conte ti entra dentro, ha una mentalità pazzesca. Ricordo che pretendeva tanto anche da noi giovani in allenamento. Marchisio mi dava spesso consigli, ma si imparava solo a guardare campioni come lui, Vidal e Pogba”.
Poi la discesa: “Ho sbagliato qualche scelta dopo essere uscito dal settore giovanile Juve. A Pescara in Serie B, c’era tanta concorrenza, giocatori fortissimi e una squadra che puntava a risalire. Non ho trovato spazio”. L’esperienza all’estero, al Den Bosch in Olanda, il ritorno in Italia: Pontedera, Viterbese, Livorno. Alti e bassi e valigia destinazione Romania, prima di rimanere senza contratto. Passato, il presente si chiama Renate. E l’obiettivo è chiaro: non smettere più di sognare.