Lo scorso marzo aveva tentato di intrufolarsi allo stadio travestita da uomo, per supportare quell'Esteqlal of Terhan che da sempre rappresentava la sua squadra del cuore. Prima respinta ai tornelli, poi costretta al carcere per tre giorni, la "Blue Girl" ha atteso ben sei mesi prima di ricevere una sentenza definitiva di condanna, di fatto mai arrivata ufficialmente ma abbastanza spaventosa ("dai sei mesi ai due anni di detenzione") e imminente da convincere la ragazza a darsi fuoco. E a morire, appena qualche ora fa, per il solo fatto di aver provato ad assistere ad una partita di pallone.
Ormai nota ai più come "Blue Girl" in virtù dei colori sociali della sua squadra preferita, la giovane ragazza morta ieri sera in un ospedale iraniano è al centro di un delicatissimo dibattito sociale che sta coinvolgendo nelle ultime ore l'Iran e non solo. Andare allo stadio, per le donne iraniane, non deve più essere considerato un reato. Da ormai 40 anni il paese ha proibito al pubblico femminile l'accesso ad ogni genere di manifestazione sportiva, con un breve periodo di deroga concesso esclusivamente in occasione dell'ultima Coppa del Mondo.
Rientrato in vigore il vecchio ordinamento, la Blue Girl aveva tentato comunque di introdursi allo stadio insieme ad alcuni amici e, una volta recatasi in tribunale per il giudizio finale sulla sua infrazione, avrebbe sentito parlare di lei e della pena detentiva che avrebbe dovuto scontare. Da lì la scelta di darsi fuoco e, in questo modo, togliersi la vita.