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Inzaghi si racconta: “Gli undici minuti insieme a mio fratello in Nazionale indimenticabili. La Lazio era nel mio destino”

Essere il fratello di Pippo non è stato facile per il Simone Inzaghi calciatore. Ora Inzaghino è diventato grande, protagonista della grande stagione della Lazio. L’allenatore biancoceleste si è raccontato a Sky Sport, nel suo programma “Mister Condò”:

“Io con mio fratello abbiamo sempre giocato in attacco, eravamo sempre davanti, non ci piaceva difendere. Quando Pippo aveva 10 anni, andavamo al parco, imponeva la mia presenza perché ero più piccolo. Pippo per me è stato uno dei tre attaccanti più forti della storia. Ha fatto più di 300 gol, penso sia lui il più forte. Penso di aver avuto più problemi rispetto a Pippo nel salto tra la Primavera alla prima squadra. All’inizio andai a Carpi: fu un’esperienza molto formativa. Avevo 17 anni, ma negli ultimi due anni di primavera avevo fatto molto bene, quindi decisi di andare subito tra i professionisti. All’epoca De Biasi non mi ritenne pronto”.

“Non mi scorderò mai l’esordio con la Lazio. Nel mio stadio e con i miei amici in tribuna. Il primo gol me lo ricordo come se fosse adesso. Saltai sopra a Couto che poi negli anni è diventato un caro amico. Nel prosieguo della carriera non ne ho fatti tantissimi di gol di testa, si vede che il destino aveva disegnato questo. Mi ricordo la prima volta contro Pippo. Ci furono delle lunghe chiacchierate al telefono. Fu una settimana intensa per i miei genitori. Alla fine di quella stagione c’erano diverse squadre, parlai anche con Galliani. Poi mi chiamò Mancini, mi ricordo che mi disse se avessi avuto il piacere di andare a giocare contro la Lazio. Vieri fu venduto, inizialmente puntarono su Anelka, ma poi io accettai subito”.

“Arrivavo in una grandissima città, sapevo che avrei trovato tanta concorrenza. Sono riuscito a ritagliarmi il mio spazio. Feci un bel ritiro, la prima partita ufficiale fu contro il Manchester United, però dopo 8’ uscii perché Stam in un contrasto mi ruppe il naso. Poi feci esordio al mio debutto in campionato. Eriksson? Aveva una ottima gestione del gruppo, per me è stato molto importante. Eravamo una squadra che in campo ragionava. Lo scudetto mancava da tantissimi anni a Roma. Fummo bravissimi a recuperare il distacco dalla Juventus. Eriksson nel girone di ritorno schierò un 3-5-1-1 con me davanti. Avevamo una rosa lunga, che aveva giocatori di grandissima personalità. Eravamo una squadra giovane. Mi ricordo nell’anno dello scudetto all’ultima partita eravamo davanti ad un monitor a vedere la partita della Juventus. Io ero con Mancini e Pancaro davanti al monitori. Ci credevamo. Con il pareggio dovevamo fare uno spareggio”.

“Per loro invece è stato un pomeriggio difficile. Sapevano che uno dei due sarebbe diventato campione d’Italia. Mi ricordo subito che chiamai i miei genitori e da loro percepivo solo felicità. Pippo la prima cosa che mi disse fu: ‘cosa abbiamo combinato’, buttarono lo scudetto a Perugia”.

Sul debutto con la Nazionale invece: “Grandissimo regalo di Zoff, era il sogno che avevo fin da bambino. Giocai anche con mio fratello in campo. Quel giorno quello che abbiamo fatto da bambini l’abbiamo portato al Delle Alpi. Quegli undici minuti li ricordo come se fosse oggi. Quella partita è il punto più alto raggiunto dalla nostra famiglia. Quel giorno fu indimenticabile”.

“Dopo i 26 anni non riuscii più a giocare con continuità. Per quattro anni non segnai più. Spesso dico ai miei giocatori che il mio più grande rimpianto furono quegli anni persi. Potevo ancora dare tanto al calcio. Avere un vissuto da calciatore ti può aiutare, ma anche gli anni fatti a Coverciano. Ho cercato di farmi trovare pronto. Ho avuto la possibilità di studiare gli allenatori giocando di meno. Sapevo che sarei diventato un allenatore. Lotito e Tare mi proposero di spalmare il contratto in tre anni, perché sapevano che sarei voluto diventare un allenatore”.

“Pippo gioca due anni più di me. Era insaziabile. Fu un’estate dura per convincerlo. Il problema di smettere se lo sarebbe posto più tardi. Ora mi ringrazia perché anche a lui piace tantissimo fare l’allenatore. Quando ho cominciato ad allenare era tutto nuovo per me. Mi piaceva studiare. Aggiornarmi e andare a vedere gli allenatori. Ho fatto sei anni d giovanili, dove ho potuto sbagliare e migliorarmi. Ho avuto la fortuna di vincere”.

Poi la chiamata in prima squadra: “C’era Pioli sulla panchina della Lazio. L’anno prima fece cose straordinarie. Eravamo ad aprile e pensavo che potesse finire la stagione. Poi è successo e non potevo dire no alla Lazio. Quelle prime 7 partite furono delle finali. Sapevo che mi giocavo il futuro. Pensavo con quelle sette partite di essermelo meritato. A me piacciono sia Allegri che Sarri. Un allenatore ha le proprie idee ma non deve fossilizzarsi su quelle. ”.

Infine: “Mi piacerebbe allenare Chinaglia. Non l’ho conosciuto, Anche con Manzini che l’ha conosciuto. Mi piacerebbe avere un giocatore come lui in squadra”. Sui Mondiali: “Una grandissima delusione. Anche per Immobile e Parolo che ne hanno risentito nei giorni successivi. Bisogna ripartire e rinascere. Un Mondiale senza Italia non sarà lo stesso”.