“È la fortuna dello sport: quando tutto sembra andare male, in un attimo succede qualcosa che ti dà la forza di reagire e andare avanti”. C’è anche l’ex bandiera dell’Inter e dell’Italia Sandro Mazzola tra i testimoni di Eighteam, il pluripremiato documentario (dal 29 ottobre disponibile gratuitamente in 42 Paesi su Rakuten TV) che racconta la lunga strada verso la ripresa, durata 18 anni, della Nazionale di calcio dello Zambia.
È il 27 aprile 1993 quando il cargo militare che sta trasportando la squadra precipita nell’oceano Atlantico circa 500 metri al largo di Libreville, in Gabon. Doveva arrivare a Dakar, in Senegal, per una partita di qualificazione ai Mondiali di USA '94. Non arriverà mai a destinazione. Un fatale incidente aereo in cui, a causa di un guasto al motore, perdono la vita tutti e 25 i passeggeri più i 5 membri dell’equipaggio: “Arrivarono le prime notizie pian piano. Ero in televisione e mi accorsi di quello che era successo veramente, alcuni filmati mi tolsero il respiro soltanto a guardarli”, ricorda a gianlucadimarzio.com il campione d’Europa a Italia 1968.
A bordo ci sono 18 giocatori, per lo Zambia sarà il numero del destino. Trascorsi 18 anni dalla tragica scomparsa della squadra, nello stesso Paese dove ebbe luogo il disastro aereo, la Nazionale di Hervé Renard si aggiudica contro la Costa d’Avorio al 18esimo calcio di rigore l’edizione 2012 della Coppa d’Africa, la prima della sua storia: “Sono coincidenze che ti fanno mancare il fiato, non capisci come possano accadere. Lo Zambia non ha mai mollato e ha vinto grazie a un gruppo di allenatori che, pur non godendo di grande considerazione, erano molto validi”.
La figuraccia dell’Italia
La fine di un cerchio soprattutto per l’ex capitano e attaccante del PSV Kalusha Bwalya, che decise di aggregarsi alla squadra volando direttamente dall'Europa e salvando così la propria vita. Prima di diventare anche presidente della Federazione calcistica dello Zambia, fu lui il primo ad affrontare il destino avverso con l’obiettivo di ricostruire una Nazionale vincente. Traguardo già sfiorato con l’argento e il bronzo conquistati in Coppa D’Africa tra il 1994 e il 1996.
Nel 1988, con una tripletta nei Giochi Olimpici di Seoul, era stato l’incubo dell'Italia Olimpica allenata da Francesco Rocca. L’inizio della rivoluzione calcistica dello Zambia, in ossequio al proprio soprannome (Chipolopolo), veri e propri “proiettili di rame” in quel caldo pomeriggio contro gli azzurri di Tacconi, Ferrara e Virdis, dominati 4-0 da quelle furie in maglia arancione: “Da due o tre anni si stavano preparando anche attraverso alcune amichevoli. Avevano qualità nei loro piedi e la volontà di mostrare quanto fossero bravi. Non erano forti soltanto atleticamente, già nel riscaldamento restammo impressionati nel vedere il modo in cui trattavano la palla. Quando si accorsero che li stavamo osservando, si misero anche a ridere. Eravamo andati a vederli di nascosto (ride, ndr)”.
Un gruppo consapevole della sua forza: “Quando andammo a giocare quella partita non sono tanto sicuro che pensavamo di andare a perdere”, svela lo stesso Bwalya nel lungometraggio firmato Rakuten Stories.
Accomunati da un tragico destino
Resteranno per lo Zambia eroi immortali, come i Busby Babes del Manchester United, la Chapecoense e il Grande Torino: vicini nella tragedia e nel dolore, uomini sconfitti solo da qualcosa più grande di loro. Della squadra che negli anni Quaranta dominò il calcio italiano fino al terribile schianto contro la Basilica di Superga Valentino Mazzola fu capitano e uomo simbolo. Il 4 maggio 1949 il figlio Sandro era ancora un bambino: “Ero andato all’oratorio a giocare e stavo tornando a casa con la mia palla di gomma sotto il braccio, il pallone costava troppo. Pensai: ‘Perché tutti mi guardano e nessuno dice niente?’. Poi arrivai a casa e il portinaio mi disse: ‘Ma lo sai cosa è successo’? Me la feci addosso...”.
Il Torino ci metterà ventisette anni prima di tornare a vincere uno Scudetto, l’ultimo della sua storia: “Ripartire è molto difficile. Soprattutto prima della partita ti vengono in mente tante cose, poi invece quando sei in mezzo al campo e guardi il pubblico ti rendi conto della particolarità del momento. Vuoi mostrare a tutti di farcela, è questo a darti la forza di reagire. La testa fa la differenza, conta quanto viene trasmesso dall’allenatore e chi ti sta intorno”.
Sandro Mazzola lo ha sperimentato sulla sua pelle, a diciannove anni, durante un provino con il Torino. Troppi i pensieri su quel campo sotto la Basilica di Superga: “Feci una partitaccia, era molto dura superarlo. Mi guardavo intorno e mi chiedevo cosa ci facessi lì, erano momenti difficili. Poi quando ti arriva la palla hai voglia di fare, ma sbagli perché provi le cose difficili". I granata non lo presero e lui una leggenda lo diventò della Grande Inter di Helenio Herrera, vincendo quattro campionati, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali.
A Vienna, nel 1964, fu proprio una sua doppietta a decidere la finale contro il Real Madrid: ‘Sei degno di tuo padre’, gli disse Ferenc Puskás donandogli la sua maglia. L’orgoglio lo avvolse, come quando da bambino accompagnava il papà e tutti si fermavano a chiedere un autografo a quel numero dieci così forte: “I calciatori e i vari sportivi hanno compreso i momenti difficili, sofferto e gioito con me. Mi sono sentito protetto da tutti”.
L’ultimo Mazzola
Al Torino alla fine arriverà da dirigente per chiudere la sua seconda vita calcistica. Nella prima anche il grande rifiuto alla Juventus e all’Avvocato Gianni Agnelli: “Aveva mandato degli osservatori per vedermi giocare, ma io non potevo andare. Quando entravo in campo al Filadelfia non guardavo il pubblico, ma la collina di Superga e dentro di me dicevo: ‘Papà, adesso ti faccio vedere’. Era importante sapere che mi volessero, però proprio non potevo indossare quella maglia”.
Oggi, dopo Ferruccio e Sandro Mazzola, un altro Valentino ha preso la strada di famiglia. A 12 anni il pronipote del Capitano sembra nato con il pallone nel sangue e il sogno di ricalcarne le orme: “Non si sa mai, quando giochiamo insieme faccio finta di niente, ma intanto lo studio (sorride, ndr). I piedini sono quelli di qualcun altro. Gli do tanti consigli e secondo me ogni tanto vorrebbe anche mandarmi a quel paese, sono un po’ rompiscatole”.
Qui una clip in esclusiva del documentario Eighteam, disponibile su Rakuten TV dal 29 ottobre