Adil Rami e la voglia di campo: “Lavoro per tornare ad essere una macchina”
"La mia storia è la più bella del mondo. Non posso dire di essere il miglior centrale del mondo ma sono qua. Fino ai 19 anni ero un meccanico e ora sono un campione del mondo. Non l'avrei mai immaginato. Ho fatto 11 finali, ho sempre perso contro Real, Barcellona, Portogallo… ma ho vinto le più importanti".
Adil Rami quando parla della sua vita non gioca mai in difesa. Come quando racconta delle sue esperienze in carriera che si sono intrecciate (a volte anche troppo) alla vita privata. E quanto gli manca il campo.
Lo sa bene il preparatore che lo segue adesso ogni giorno e con cui ha messo subito le cose in chiaro: "Guarda, sono tre mesi che non gioco, ho fatto un mese di Ramadan, e ora voglio tornare ad essere una macchina".
Messo in moto, per continuare sull'onda di questa metafora, da un progetto da sposare e da un allenatore in cui avere fiducia: "Mi hanno chiamato da Dubai, dal Qatar ma non è dei soldi che ho bisogno. Ora per me è più importante sapere di poter giocare e trovare una squadra con un obiettivo". A febbraio arrivò una chiamata dalla Cina, poco prima che il Covid diventasse una pandemia globale; più precisamente fu lo Shenzhen di Donadoni ma non se ne fece più nulla. Un discorso solo rimandato? Chissà.
Anche perché ora Rami può essere un'occasione, svincolato dopo l'esperienza in Russia al Sochi che non si è chiusa nel migliore dei modi e "se nomini in Francia Sochi pensano alle Olimpiadi invernali oppure a Rami…".
Ma facciamo un passo indietro, a quattro mesi fa: "Quando sono arrivato lì erano molto felici, arrivava un campione del mondo in un club nato da un anno. Non ho giocato le prime partite, poi è arrivato il virus e abbiamo iniziato la quarantena. Sono stato due mesi chiuso in casa in Russia, solo, in un piccolo appartamento senza famiglia, senza niente, giusto una tv".
Niente campo, niente stipendio. E quattro mensilità ancora da ricevere che l'hanno portato in causa con il club: "Li ho chiamati, poi hanno provato loro a venire a casa mia per farmi firmare un nuovo contratto ma gli ho detto di no – ha raccontato a gianlucadimarzio.com.
Io non capivo quel contratto, era tutto in russo! Il giorno dopo sono tornati a casa mia con il contratto in doppia lingua, in russo e in inglese: 'Firma e poi lo fai vedere al tuo avvocato' mi hanno detto. Io ho 34 anni, non sono un bambino, e sono anche un po' 'pazzo'; non ho firmato niente. Sono tornati un'altra volta ancora ma ho fatto finta di non essere in casa. Dopo sono andato al supermercato e ho visto che una persona mi seguiva, faceva foto e video dalla sua macchina.
Anche io allora ho preso il mio telefono e ho fotografato quell'auto. E quando sono tornato a casa erano di nuovo lì a dirmi che dovevamo parlare. Ma io non volevo, potevo farlo con l'allenatore per gli aggiornamenti sui miei allenamenti ma niente di più. Quindi appena ho potuto sono tornato in Francia dalla mia famiglia e ho ricominciato ad allenarmi con il mio preparatore. Ora sono felice".
Le chiamate di Brescia e Napoli: tempi diversi, stessa risposta
"Sì, l'estate scorsa parlai col Brescia. Mario (Balotelli, n.d.r.) mi conosce bene, sa che sono un po' pazzo ma anche che quando arrivo agli allenamenti sono professionale. Mi chiamò e mi disse: 'Vieni con me a Brescia, possiamo fare bene'. Però non era il momento. Volevo andare più lontano, mi ha chiamato il Fenerbahce e per me era perfetto".
Un'altra chiamata, anni prima, ha avuto lo stesso esito. Squilla il telefono di Adil, allora centrale del Valencia, e dall'altro lato Rafa Benitez. "Mi voleva a Napoli. C'era Cavani a quel tempo ma era già in trattativa con il PSG, quindi a Benitez dissi che avevo paura che la squadra stesse per restare senza un giocatore come lui.
Mi rispose che non dovevo preoccuparmi, che sarebbe arrivato comunque un altro buon attaccante. Mi piaceva Napoli ma anche Milano e questo era il mio sogno. Lo dissi anche a Benitez, provò a convincermi del contrario ma ero giovane e per me allora c'era solo Milano. Infatti andai lì. I miei idoli erano Cannavaro, Nesta, Maldini. Una volta, all'inizio della mia carriera, mi chiesero quale fosse il mio sogno. Risposi: 'Voglio andare a Milano e avere il numero 13'. Ed è quello che ho fatto.
Mi chiamò direttamente Galliani che parla bene francese: 'Rami, mi piace come giochi e ti voglio qui con noi'. Galliani era perfetto, un uomo che aveva una parola giusta per ogni occasione. Una volta, dopo alcune mie dichiarazioni, mi disse chiaramente: 'Non mi piace quello che hai detto in tv'. Per me questo è un uomo".
Il Milan. Seedorf, Galliani, Inzaghi
"Sono arrivato in prestito ma ho subito fatto molto bene. C'era Seedorf in panchina. A fine stagione parlai con Galliani: 'Ora vai in Francia in vacanza, lasciami litigare col Valencia per te perché ti voglio qui definitivamente. Ma promettimi che non vai a parlare con nessun'altra squadra'. Mi abbracciò e quell'incontro finì così".
L'idillio rossonero però terminò con l'arrivo di Inzaghi in panchina: "Come giocatore è stato un campione ma è colpa sua se sono andato via da Milano. I tifosi mi volevano bene, vivevo il mio miglior momento a livello fisico e mentale ma lui non era un allenatore per me. Era difficile parlarci. Non capivo perché non mi faceva giocare anche quando stavo bene.
Feci una gran partita contro il Verona di Toni, un assist spettacolare per Honda; la giornata successiva avevamo la Fiorentina in casa e non giocai. Volevo capire perché… Mi disse che ero perfetto ma che giocavamo contro la Fiorentina a Milano, quindi fece giocare Zapata perché era colombiano e conosceva bene Cuadrado. Io intanto continuavo ad allenarmi e ad aspettare il mio momento.
In un'intervista a una tv francese mi chiesero cosa avrei fatto l'anno seguente e risposi che se fosse rimasto Inzaghi l'allenatore sarei andato via. Una risposta che non è piaciuta a Galliani.
Comunque è stata una bella esperienza, il calcio italiano mi piace, è fisico. La gente può aver pensato che io sia stato un calciatore indisciplinato ma non è così. Mi piace la vita, mi piace ridere, scherzare ma amo il calcio e il mio lavoro. Qualcuno può pensare che io non sia professionale e mi dispiace. Anche quando con me si parla più della mia vita privata che di calcio… Basta che chiamo un'amica, qualcuno poi scrive che esco con lei. Però è difficile così, io sono diverso".
Perché "la mia storia è la più bella del mondo"
Da meccanico a 19 anni, a campione del mondo con la Francia nel 2018. "Sono la mia famiglia per sempre. Mi sento sempre con Lloris, Pavard, Kante. Ah, Kante… E' incredibile chiacchierare con lui anche solo un'ora. E' molto timido, non gli piace quando si parla di lui. In ritiro un giorno sono andato in camera sua con una Play Station in regalo, mi ha chiesto perché, non voleva accettarla all'inizio. Ma quanto è forte alla Play…". Anche Adil non scherza. Ha un suo canale su Twich e "uno squadrone, c'è il Fenomeno, Guti, Varane, Ramos, Roberto Carlos…".
Un bel team virtuale e una bella storia, la sua: "La più bella del mondo". Adil non ha dubbi. Nemmeno ora, a 34 anni e con una voglia pazza di tornare a giocare.