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Immobile torna a casa, i ricordi da Sorrento: “L’esordio, le botte e il ‘cucciolone’ del gruppo. Vi racconto il primo Ciro”

Già quando giocava nel Sorrento non si faceva fatica a distinguerlo. Tratti unici: ciuffo biondo, andatura ciondolante e gol a valanga. Un altro indizio? Ogni giorno prendeva il treno da Torre Annunziata per arrivare agli allenamenti. Su e giù, senza fiatare, solo con la voglia di spaccare il mondo. Un panino sulla Circumvesuviana e un pallone ad aspettarlo: “Già allora aveva la rabbia di arrivare, la foga di emergere. Per questo mi accorsi di lui”. Parola di mister Renato Cioffi, che di giovani se ne intende. La storia di Ciro Immobile inizia proprio da lì. Sorrento, un allenatore lungimirante e mezzi tecnici già di categoria superiore: “All’epoca aveva 16 anni, giocava negli Allievi ma non ho esitato un attimo a convocarlo in prima squadra – Continua Cioffi in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com – Sono stato il primo a lanciarlo nel grande calcio”. Ne ha fatta di strada Ciro partendo da Sorrento: da sud a nord, ora di nuovo a casa. Solo per qualche ora però, e da avversario, con la maglia della Lazio: “E’ un peccato però. Ciro è sempre stato tifoso e sono sicuro che avrebbe voluto iniziare la propria carriera proprio nel Napoli. Prima di andare alla Juventus c’era stato anche un interessamento, ma alla fine credo che la società azzurra non ci avesse creduto abbastanza, un po’ come l’Inter”.

Chi ha sempre creduto in Ciro è stato proprio Renato Cioffi, il primo a lanciarlo nel calcio professionistico con la maglia del Sorrento. Gli è bastato osservarlo in qualche allenamento per accorgersi del suo talento: “Per forza di cose doveva diventare un campione, si vedeva. Viveva per il calcio e faceva già allora tantissimi gol. Era un giocatore vecchio stampo, di quelli che ti buttano dentro ogni pallone in area”. Di testa, di piede, d’astuzia, in acrobazia. Ciro segnava in ogni modo e stregava gli addetti ai lavori. Naturale quindi la convocazione in prima squadra: “Avrei potuto portare un ragazzo più grande, ma scelsi lui. In campionato stavamo facendo grandi cose ma avevo bisogno di far riposare qualcuno. Mi ricordo ancora l’esordio di Ciro: era un quarto di finale di Coppa Italia, contro il Gallipoli. Per fargli spazio lasciai a casa Massimo Rastelli che aveva bisogno di riposo. Entrò dopo 10 minuti di partita e lo vidi un po’ spaventato. Ci mise poco però a riprendersi: dopo un po’ gli avversari dovevano prenderlo a botte per fermarlo”. Non ci sono mai riusciti, Ciro ha continuato a correre. Anche se all’epoca non era bellissimo da vedere: “Era il suo unico difetto: la postura. Ciondolava mentre camminava e correva. Ora è migliorato molto sotto quel punto di vista e quasi non si nota più”.

Il modo di correre sarà cambiato, ma Ciro è rimasto sempre lo stesso: “E’ come si vede in televisione: umile, simpatico, alla mano. Non ha assolutamente la puzza sotto il naso perché è cresciuto in strada e sa cosa significa. Era sempre con la battuta pronta. I compagni lo prendevano un po’ in giro perché era il più piccolo e lo chiamavano ‘cucciolone’”. Ricordi lontani, anche se il rapporto è rimasto stretto: “Ogni tanto lo sento, mi fa piacere. Il padre mi chiama spesso, siamo rimasti legati”. D’altronde le origini non si dimenticano. E chissà se Ciro sabato prima di arrivare al San Paolo farà in tempo a passare al suo vecchio campo d’allenamento…