Mettiamo subito in chiaro una dettaglio: il nome. “Jeijo”. E non Geijo. “Ma va bene lo stesso! Capisco non sia facile pronunciare la Jota spagnola”. Ecco, appunto. Adesso tenetevi forte. Parte lui. “Sono spagnolo solo di passaporto, perché i miei genitori sono nati in Spagna. Ma tutta la nostra famiglia è cresciuta a Ginevra, in Svizzera. Le mie radici sono totalmente svizzere. Mi sento Svizzero”. Ma in realtà è spagnolo, non solo nel passaporto. Estroverso, solare. Logorroico. “Sono fatto così. Vivere in Spagna (grazie al calcio) mi ha cambiato. Prima pensavo ‘non appena smetto di giocare, torno in Svizzera’ adesso invece direi ‘Spagna’ tutta la vita”. Prova del nove. Europei o Mondiali che siano: Svizzera o Spagna? “Dico Spagna”. Anche se “quando vinse la Svizzera ero contento uguale”. Il mappamondo di casa Jeijo continua a girare. “Mia moglie è spagnola, nata e cresciuta a Ceuta, città autonoma situata nel Nord Africa. Col tempo lei e la sua famiglia si sono trasferiti a Jerez”. Il come si sono conosciuti è un vero segno del destino. “Io giocavo nel Malaga. E dovevamo sfidare una squadra dalle sue parti. Lei lavorava come hostess in uno dei traghetti che fa quella tratta lì: Spagna-Africa”. That’s amore. Di questo passo il loro bimbo sarà tedesco se tutto va bene. Ma Alex frena, sempre in esclusiva su Gianlucadimarzio.com. “No, non ne abbiamo ancora uno. Anche se a casa mettono pressione…”. Ci scappa una mezza risata. “Dal prossimo anno, ci pensiamo. Ci stiamo facendo vecchi eh! Vorrei un piccolo italiano, lo faccio nascere a Venezia, città degli innamorati”. Ottima scelta, bandierina già posizionata.
Parla tre lingue: francese, spagnolo e italiano. “Sbaglio qualche accento è vero, in spogliatoio ridono sempre. Però mi faccio capire”. A suon di gol, sicuramente, come quello nel recupero contro il Modena. Uno a zero e Parma a meno sette. E Serie B più vicina. Non ha tatuaggi e non è scaramantico. Almeno a parole. “Ho le mie manie. Abitudini, dai. Se la stagione parte bene, quando gioco indosso sempre le stesse mutande. Ma se mi rubi le mutande non è che mi butto in canale”. C’è dell'altro. Udite, udite: è titolare di un’agenzia di assicurazione. “Mio fratello lavorava in quel settore lì così abbiamo deciso di investirci. E’ nato questo progetto circa due anni fa. Siamo in quattro: noi due più altri due amici. Ma fondamentalmente io sono solo socio. Anche perché se cominciano a farmi lavorare pure loro… non ci arrivo alla fine”. Certamente non è cuoco. “Non so cucinare… quasi nulla! Nemmeno un uovo sodo a momenti. Ok la pasta, ok il petto di pollo. Però non ho pazienza. Zero. Odio metterci dieci minuti a mangiare un qualcosa che ho preparato in un’ora e mezza. Meno male che c’è mia moglie”. Potrebbe fare il giornalista. “Io sono un bel personaggio? Ognuno di noi lo è. Ognuno di noi può raccontare una bella storia. Se te lo chiedessi io a te… dimmi, dai!”. Ottimo tentativo, riuscito. Ma Alex di professione fa l’attaccante, quello gli riesce benissimo, meglio di ogni altra cosa. Sì. Dalla Serie A italiana alla B, dalla Liga alla Segunda, dalla Championship inglese alla Serie A svizzera. Adesso la Lega Pro con il Venezia, gli mancava. “E’ stata una trattativa lampo. Potevano prendere 2/3/4/5/15/30 attaccanti diversi ma alla fine hanno scelto me. Io ero tranquillo, senza contratto. Libero e senza pressioni. A 34 anni volevo aspettare solo l’opportunità giusta. Quando ho ricevuto la chiamata? Mi trovavo a Jerez, in vacanza, dalla famiglia di mia moglie. Anzi, mi stavo allenando per tenermi in forma”. Valigia che si chiude e via: ancora tu, Italia. “Quando ho lasciato Brescia, mai avrei pensato di venire in Lega Pro. A quel punto me ne sarei tornato in Spagna, o avvicinato a casa. Non ci pensavo minimamente a scendere di categoria. Però questo progetto era così ambizioso e affascinante che non potevo dire no. Abbiamo fatto una squadra davvero forte eh! Vogliamo lottare per arrivare in alto”. Sono in alto. Primi, con la voglia di fare il grande salto. “Si ma non abbiamo ancora fatto nulla”. In guardia. E' saggio, Alex.
In armadio, ben piegata, un ricordo indimenticabile. E decisamente… originale. “La prima maglia che ho scambiato nel mondo del calcio. Con Zidane”. Spettacolo. “Tredici anni fa circa, Real-Malaga. Io avevo 20/21 anni. Gliel’avevo chiesta prima della partita, in francese. Poi però all’intervallo - momento in cui avviene lo scambio di rito - stavamo perdendo 5-0 e francamente non me la sentivo di fare il bambino di 5 anni e ribadirgli il concetto di darmela. Sotto cinque gol poi! Però si è ricordato lui: mi ha battuto sulla spalla e mi ha consegnato la sua ‘5’ sudata. In quel momento ero il ragazzo più felice del mondo, avremmo potuto perdere anche 7 o 8 a zero, a me sarebbe cambiato poco”. Non piegata, non originale ma comunque nel suo cuore c’è anche un’altra magliettina, quella del suo modello. “Raul! In Svizzera abbiamo guardato sempre tanto calcio spagnolo, io sono cresciuto con Raul negli occhi. A me piaceva tantissimo, come giocatore, come uomo. Un esempio. Non sbagliava mai, mai. E quando andavo al mare, mi compravo sempre la sua ‘7’ nelle bancarelle, per giocare come un dannato in spiaggia”. Il difensore più complicato che lo abbia marcato? "Sergio Ramos. Forte forte. Ho fatto molta fatica contro di lui. Ma anche Puyol era devastante". Il compagno più forte con cui ha avuto a che fare? "Di Natale. Sanchez, Cuadrado… e Siqueira, all'Udinese". In quanto ad allenatori, un grande maestro nel suo passato. “Zola al Watford, il migliore. Umanamente è un grande. E poi si vedeva che era stato giocatore, sapeva creare il gruppo e mantenere buonumore e allegria, anche tra chi non giocava". Un altro, nel presente. "Zola è molto simile a Inzaghi… “. Battuta finale, simpatica. “Pensa te… loro che hanno segnato 400 gol in carriera, devono lavorare con attaccanti come noi!”. Come lui: Alex Geijo. “Jeijo”. Spagnolo ma svizzero, che vuole fare la storia in Italia, al Venezia, sognando la Serie B.