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Data: 02/03/2019 -

Hugo, un Maradona in terza categoria. “Diego? Mi chiede sempre del Napoli”

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Il rapporto con Diego, la scelta di tornare a vivere a Napoli, la nuova avventura da allenatore della Real Parete. In terza categoria. "Per me è semplicemente mio fratello. Il più forte del mondo".
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Il rapporto con Diego, la scelta di tornare a vivere a Napoli, la nuova avventura da allenatore della Real Parete. In terza categoria. "Per me è semplicemente mio fratello. Il più forte del mondo".
I balconi circondano lo stadio Don Antonio Basco. Nessuno si affaccia, il freddo di una sera d’inverno fa stare tutti dentro. Siamo a Parete, a metà strada fra Caserta e Napoli. 11mila abitanti, potrebbero stare tutti nella curva B del San Paolo.

Lo stadio di Diego Maradona è a 30 chilometri da Parete. O forse trent’anni. Perché da novembre qui è arrivato un altro Maradona. Hugo, fratello minore di Diego. “Sono tornato a vivere in Italia da otto anni. Ho sposato una napoletana e vivo a Bacoli”, racconta Hugo al microfono di gianlucadimarzio.com Il calcio è sempre stato la sua vita. Nove anni meno di Diego, un mancino che non somiglia a quello del fratello e un presente da allenatore. Come il suo hermano.






Uno dirige i Dorados in Messico, l’altro guida la Real Parete. Terza categoria campana, girone A. “È un gruppo giovanissimo, quasi tutti ragazzi del 2002. Sono qui per dare una mano. Più che un lavoro, è un modo per aiutare questi giovani a crescere. Cerco di dare consigli e insegnare quello che posso”. La classifica non sorride: penultimo posto, una sola vittoria negli ultimi due mesi. Ma il carattere c’è: nell’ultimo turno, i ragazzi di Hugo hanno recuperato uno 0-3. “Sono encomiabili. Ma c’è tanto da lavorare”.








“IO E DIEGO, UGUALI E DIVERSI. L’ASCOLI? HO FATTO 15 ANNI DA PROFESSIONISTA…”

I tratti somatici tradiscono una somiglianza impressionante. Guardi Hugo e vedi Diego, eppure caratterialmente non potrebbero essere più diversi. “Sono molto riservato, non mi piace parlare di me. Quando ho accettato di venire qui, ho premesso che avrei voluto solo venire al campo ad allenare e andarmene subito dopo”. E così fa, due volte a settimana. Una trentina di chilometri da Bacoli al Don Antonio Basco. I genitori dei ragazzi gli raccontano le emozioni vissute grazie a Diego. Ascolta tutti e silenziosamente sorride. Ama stare in disparte, abituato da una vita a restare nell’ombra. “Vedo Diego come un fratello, non come il più forte del mondo. Lui lo è stato perché ha respirato calcio sempre, ha vissuto per essere il numero uno. Non nascerà più uno così”.

Cuore di fratello, lo stesso che aveva Diego quando Hugo giocava (poco) nell’Ascoli. Tredici presenze, zero gol. Poco ma il più grande prendeva sempre le difese del più piccolo, a costo di farsi ore di macchina da Napoli alle Marche per parlare con Castagner, l’allenatore che teneva spesso Hugo in panchina. “Ma io non ho giocato perché ero il ‘fratello di’. Ho fatto quindici anni da professionista, segnato tanti gol in Giappone”. La nuvoletta del “raccomandato” da spazzare via con la passione. E con lo studio. “Diego è molto tattico, più di me forse. Non ha avuto ancora il successo che merita. Gli serve continuità”.

A entrambi piace tenere la palla e puntare sul palleggio. Buon sangue non mente.


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