"Ho visto il buio, poi mi sono accasciato sul campo". Vengono i brividi a sentir parlare Enrico Cau. Il 19 novembre scorso, durante Atletico Sanluri - Furtei, seconda categoria sarda, un arresto cardiaco voleva portarlo via per sempre. Flashback che portano indietro nel tempo a quel maledetto 12 aprile 2012, a Pescara, dove Piermario Morosini perse la vita, a causa del mancato utilizzo del defibrillatore. Mani nei capelli, attimi di paura, ma per fortuna qualcuno ha assistito Enrico dall'alto. Il defibrillatore era stato donato qualche anno fa alla piccola società del Medio Campidano da una famiglia che aveva perso il figlio in un incidente stradale. Dopo due settimane Enrico è già al campo del Dolianova, a incoraggiare i suoi compagni, sorridente, come sempre. "E' stata una liberazione" - racconta Cau ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com - "Durante gli otto giorni passati al reparto di Cardiologia ho avuto tanto tempo per riflettere e mi sono reso conto di quanto sono stato fortunato. Una volta uscito dall'ospedale ho iniziato ad apprezzare anche le piccole cose, quelle alle quali prima magari non davo tanto peso. Il primo pensiero è stato per mio figlio Andrea, perché all'ospedale non me lo facevano vedere. Erano due settimane che non ci parlavo, che non lo accarezzavo: per me la cosa più bella".
Una corsa, poi il buio e il terreno freddo: "Non ricordo nulla, solo che poco prima ho visto tutto nero, mi sono venuti dei capogiri. Ho detto a un mio compagno 'vedo tutto buio'. Poi mi sono accosciato su un fianco e da lì non ricordo più nulla. Al risveglio in ospedale non capivo cosa mi fosse successo. Mi sono visto lì nel letto e ho chiesto subito all'infermiera perché, cosa mi era capitato. Dopo che mi ha spiegato ho pensato subito al pericolo che avevo corso, pensi sempre che a te certe cose non possono capitare. Non c'era stato nessun preallarme, le visite le avevo fatte dieci giorni prima e mi avevano detto che era tutto a posto. Mi è venuto un arresto cardiaco senza infarto, non potevano esserci segnali". Tanti i messaggi di solidarietà nel suo profilo facebook, ma sono tanti anche i ringraziamenti di Enrico: "Sì, ringrazio tutti, mi hanno salvato la vita. In primis i miei compagni di squadra e il mio allenatore, Andrea Mura, poi il medico del Sanluri che era sugli spalti, i barracelli che hanno praticato il massaggio cardiaco. E poi ne approfitto di questa intervista per ringraziare tutti quelli che mi sono stati vicini e mi hanno mandato messaggi di solidarietà e affetto".
Salvato dal defibrillatore... "Spero che questo episodio sensibilizzi al massimo non solo le società sportive, ma anche le istituzioni. Penso che i defibrillatori debbano esserci non solo negli impianti sportivi ma anche in posti pubblici. A me ha salvato la vita. Sono grato alla società e alla famiglia Ardu che ci ha donato il defibrillatore dopo la morte del figlio: è merito anche di Alessandro se sono vivo, mi ha aiutato da lassù. Non potrò più giocare, dovrò cambiare ruolo. Rimarrò a dare una mano alla società, al gruppo, sono in questo club da una vita: non posso lasciarli, non me la sento". Enrico dovrà rinunciare a dare una mano in campo, ma potrà tornare a una vita normale: "Per fortuna sì, i medici sono stati bravissimi. Mi hanno inserito un defibrillatore sottocutaneo, nel caso dovesse capitare sarà il mio salvavita". Fede nerazzurra, idolo Zanetti: lanciamo un appello all'ex capitano dell'Inter? "Sono interista e un grandissimo fan di Javier Zanetti, è vero. Mi avevano detto che era in programma una visita all'ospedale, in occasione di Cagliari-Inter, ma non ce l'hanno fatta a passare. Io mi ero anche fatto portare la sua biografia per farmela firmare. Avrei voluto stringergli la mano, ma pazienza... Però se mi mandasse la maglia firmata... (ride)".
Ci hanno pensato il Cagliari e Dessena a rendergli omaggio: "Un ragazzo umilissimo e la cosa che mi ha colpito di più di Daniele è che mi ha detto 'tu hai vinto, fregatene di tutto il resto. Sei un grande, la tua battaglia l'hai già vinta'. Bellissima persona, molto sensibile, siamo rimasti a parlare per un'oretta come se ci conoscessimo da una vita...". Il Furtei ha vinto al novantaduesimo, da quando manca Enrico i compagni ci mettono qualcosa in più per lui: da domenica sono primi. Il calcio non è certo l'attività che permette ad Enrico di mantenere la sua famiglia: "No, assolutamente. Prima ero capo reparto in un supermercato. Adesso sono un networker, mi occupo di marketing per una società che produce integratori alimentari. Il calcio, invece, è una pura passione, che coltivo fin da bambino, da quando avevo otto anni. Sono arrivato fino alla prima categoria, ma sono lo stesso felice: mi basta giocare, una necessità, un fuoco che senti dentro". Il Furtei ha già il suo erede, Andrea ha appena iniziato a giocare, per la felicità di papà. "Il calcio dà lezioni di vita, ti insegna a stare con gli altri. Anche mio figlio che ha 5 anni gioca e voglio che impari i valori dello sport, lo spirito di squadra, l'altruismo". E in casa Andrea ha già un grande maestro...
