Garrincha, il ritratto del poeta maledetto della fascia destra a 35 anni dalla sua scomparsa
Trentacinque anni fa moriva Garrincha, soprannominato “la gioia del popolo”, perso nei ricordi e nella dipendenza dall’alcool. Una parabola beffarda, un po’ come quei suoi spunti imprendibili sulla fascia destra. Con lui e Pelè in campo insieme la Nazionale brasiliana non ha mai perso in 40 gare internazionali. Già questo basterebbe a intuirne il mito.
L’”allegria della gente”, dicevamo: Manoel Francisco Dos Santos, che tutti conoscono con il celebre soprannome di Garrincha, traducibile in portoghese con “piccolo uccellino”. Mai epiteto fu più azzeccato, perché quel ragazzino mingherlino e poliomelitico, con una gamba più corta dell’altra, diventerà l’ala destra più forte della storia, insieme a George Best, capace davvero di volare e far sognare intere generazioni, non solo sua, in Brasile e non solo. Quel suo handicap alla gamba si trasformerà nel più grande dei suoi pregi calcistici. Thomas Mann, grandissimo letterato tedesco, diceva: “Le avversità possono essere formidabili occasioni”. Vero, verissimo per Garrincha, che con la sua finta, che quasi sembrava portarlo a terra, era praticamente irresistibile e andava via a tutti i terzini, danzando come un magico ballerino. Fulminante il suo cambio di passo, di una rapidità surreale: tutti conoscevano la sua mossa preferita, ma al momento di opporvisi, nulla potevano. Garrincha li superava come birilli e poi andava sul fondo, facendo le fortune di tutti i centravanti che hanno giocato con lui. Amatissimo dalle folle brasiliane, per il suo modo di fare e per non aver mai ceduto alle lusinghe dei club stranieri che gli offrivano contratti più vantaggiosi, resta nel mito soprattutto per le sue prestazioni con la maglia della Nazionale, con i due successi ai mondiali di Svezia ’58 e Cile ’62. Dribbling estrosi, accelerazioni devastanti e fiaccanti per gli avversari, palloni messi dalla fascia in mezzo perlopiù rasoterra, con i compagni che dovevano solo appoggiarli in porta: una mannaia per tutti i reparti difensivi. Proprio nel secondo dei “Mundial” vinti, assurse ancor di più a mito popolare, visto l’infortunio di Pelè all’alba del torneo. Garrincha si caricò la squadra sulle spalle, inanellando prestazioni strepitose e laureandosi addirittura capocannoniere della manifestazione, lui che non era di certo una punta, ma una superba ala classica.
Dopo una luminosa carriera, piena di onori, riconoscimenti e affetto, Garrincha entrerà nel tunnel oscuro dell’alcolismo cronico, tra divorzi continui e difficoltà di ogni tipo dal punto di vista economico. Morirà di fatto solo, depresso. Ma Garrincha resta nel mito, nella leggenda. Esattamente come George Best: “Non morite come me”, nel 2005, un monito lasciato ai posteri direttamente dal letto dell’ospedale londinese nel quale poco dopo avrebbe esalato l’ultimo respiro, con delle foto che lo ritraggono, irriconoscibile, sguardo perso, volto ingiallito e i segni della sconfitta nella partita contro l’alcolismo. George Best e Garrincha, le ali più forti di sempre, come i poeti maledetti, un ossimoro, un talento abnorme in una vita dissoluta.