‘C’era un ragazzo che come me amava il mate e…”. Il resto lo tiene per dopo. Italiano fluente, scattante (come in campo) e classico nome argentino, Facundo. Dov'è il trucco? “Che a 9 anni mi sono trasferito con la mia famiglia a Lecce”. Eh già…io sono ancora qua! C’è del rock effettivamente nella carriera di Lescano. Uno di quei brani particolari, ma significativi. Magari il testo incentriamolo sulle auto, visto che sei nato in un quartiere della provincia di Buenos Aires che si chiama Mercedes… “Io ora mi sento più una 500, che sul lungo comunque non è male dai. La Mercedes è una fuoriserie diciamo che la accosterei a Milito. Diego è un riferimento, un modello per me, anche perché sono un grande tifoso del Racing Avellaneda”. Molto abbottonato, ma non timido. Apriamolo un secondo questo cassetto dei desideri… “Mi piacerebbe incontrarlo Milito e se possibile fare il dieci per cento dei suoi gol”.
Classe ’96 Lescano. Per i migliori anni ci sarà tempo. Intanto, però, si è portato avanti: Inter, Genoa, Torino. E pensare che il Lecce… “E pensare sì! Appena arrivato in Italia vado a fare un provino con loro – racconta ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – e mi fanno: ‘Finché non fai 50 palleggi noi non ti prendiamo’. Io ero un bambino, avevo 9 anni, mi sono sentito spiazzato”. Lo dice con un velo di tristezza, ma la malinconia – continuando con il nostro musical – è fuori stagione ormai, ottobre è più che superato. V per Vendetta, Faca, come lo chiamano gli amici… “Direi proprio di sì perché poi contro il Lecce segnavo sempre. Dopo qualche anno addirittura mi vennero a cercare, ma io ormai avevo preso un’altra strada”. Altro che tangenziale, Lescano era già in autostrada: dopo Roma, direzione Milano… “Sono andato all’Inter dove ho fatto i giovanissimi regionali. Una città bellissima, la migliore d’Italia”. Un amore profondo, al punto che nemmeno la temuta nebbia riusciva a far l’effetto inverso, “faceva parte del gioco”.
Da Milano a Genova, avessero spostato il calciomercato a maggio sicuramente avresti potuto ambire alla celebre maglia rosa del Giro d’Italia. Non ne è convintissimo… “Preferisco segnare piuttosto che correre. Al Genoa ho trovato Juric che è un allenatore straordinario perché riesce a tirare fuori il meglio da ogni giocatore e soprattutto è uno di quelli che ti dice le cose in faccia. Ho un ricordo splendido di lui…”. E anche dei torelli, vero? “Beh, di quelli un po’ meno. Quando giocava con noi e finiva in mezzo c’era da star attenti, non si faceva problemi ad entrare…”. Risata generale, che trasuda però una stima importante, vera: “Assolutamente! Un giorno dovevamo fare un’amichevole con la prima squadra, lui all’ultimo l’annullò e ci fece vedere un film sullo spirito di squadra, sull'aiutarsi l’uno con l’altro".
Poi, finalmente, il Toro. E qui comincia la libidine, proprio come l’allenatore che è riuscito a coronare il suo sogno: esordire in Serie A. “10 gennaio 2015, Torino-Milan. Stavamo perdendo e ci mancava solo un cambio. Bovo e Vives vengono da me… ‘Lescano, vai a scaldarti’. Dopo pochi minuti Ventura mi fa entrare. Che spettacolo essere in campo con quei giocatori che fino al giorno prima vedevo solo sulla play station”. Lo scudetto Primavera, Moreno Longo (“E’ il numero uno, ne farà di strada”), lo spirito Toro. La maglia granata significa tanto per Faca, un insieme di ricordi ed emozioni. Magari anche inaspettate, senz’altro indimenticabili. Così come il soprannome che gli avevano dato Bruno Peres e Barreto… “Sì, mi dicevano che ero il figlioccio di Amauri per il modo di giocare e per i capelli lunghi come i suoi”. Da un paragone all’altro, mica male… “Balotelli!”. Avevi la risposta pronta, eh: “Deriva dal fatto che avevo la maglia numero 45, ma in realtà era stata solo una coincidenza perché la 96 e la 99 erano già prese. Poi certo Balo mi piace, credo sia uno degli attaccanti italiani più forti degli ultimi anni”.
Ad un certo punto cambia voce, Lescano. Diventa più serio, si emoziona. “Vorrei dedicare un pensiero ad una persona speciale, Don Albo Rabino, lo storico cappellano del Toro. Mi ha aiutato tanto, soprattutto nei momenti difficili. Parlavamo spesso dell’Argentina perché lui è stato diversi anni lì e a volte bevevamo mate insieme. Lo porterò sempre dentro di me, non scorderò mai quando facemmo una Messa con i settori giovanili di Torino e Juventus insieme e lui mi fece leggere un paragrafo del Vangelo. Io sono molto religioso, come la mia famiglia, quindi veramente Don Aldo è come un secondo padre. Una di quelle persone che era sempre disponibile, lo potevi chiamare a qualsiasi ora. Un giorno mi disse queste parole, che io custodisco gelosamente dentro di me: ‘Sii sempre te stesso e abbi fede in Dio che lui ti aiuterà’. E’ venuto a mancare il giorno del mio compleanno, una tristezza unica”. E’ difficile trovare le parole giuste, si commuove Lescano. Per lui la fede e la famiglia sono tutto, gli antiqui ac boni mores. Un qualcosa che non si può spiegare, Facundo, sembreranno parole formali, di mera circostanza. Ma ci piace pensare che possa essere davvero così: nessuno muore mai sulla terra finché vive nel cuore di chi resta.
Ragazzo serio e passionale, non dimentica. Ha diversi tatuaggi: “La Madonna, Gesù e le mani che pregano sul braccio sinistro. Poi la data dell’esordio in Serie A, lo stemma del Racing Avellaneda e la frase di mamma quando sono partito per Milano: ‘Sei sempre con noi. Sei sempre nel nostro cuore anche se ora sei distante’. La mia famiglia è la mia forza”.
E Lescano ne ha avuta di forza: l'addio al Torino, doveva andare al Reading poi è saltato tutto. Infine, è ripartito dalla Serie D, dall’Igea Virtus Barcellona. Ieri, al rientro dopo tre giornate di squalifica, subito tripletta. Corre il tempo Facundo, tutto scorre, tutto cambia. ‘E l’anno che sta arrivando tra un anno passerà, io mi sto preparando è questa la novità’. Lo salutiamo sulle note del grande Lucio. Una musica bella e fuori da ogni schema, da ogni necessità stereotipata di classificazione. Proprio come te, Faca.