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Tissone: “Delneri come un padre. Voglio tornare”

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In Italia ci era arrivato per la prima volta ancora minorenne. Nel 2003, dopo aver lasciato Buenos Aires e aver trascorso qualche mese a Madrid, Fernando Tissone si trasferì a Como insieme alla sua famiglia. Lì ricevette la chiamata dell’Udinese: l’inizio di un lungo percorso. Adesso, a distanza di sette anni dall’ultima volta, vorrebbe tornare nel calcio italiano. “Mi trovo in Svizzera insieme a mio fratello e mi sto allenando col Chiasso in attesa della giusta offerta. Fino a qualche mese fa mi allenavo a Malaga, poi a gennaio c’è stata un’opportunità importante in Mls e sono volato negli Stati Uniti: avevo ricevuto un’offerta dal Portland e da altre squadre, ma con il coronavirus le trattative si sono interrotte. In quel momento avevo anche la mia ragazza in Spagna che stava per partorire e quando sono tornato non mi è stato permesso di ripartire”. Ha dichiarato il classe ’86 a Gianlucadimarzio.com

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GLI INIZI A UDINE 

Ad accoglierlo in Friuli fu Luciano Spalletti. L’allenatore toscano dopo poche partite con la Primavera lo inserì in prima squadra. “Ho un ricordo magnifico con compagni del calibro di Di Natale, Di Michele, Iaquinta, Jankulovski, Muntari, Pizarro, Sensini. Allenandomi con loro capivo che, anche se non era facile, ci potevo stare. Sarò sempre grato all’Udinese. Mi sono trovato bene con tutti gli allenatori, ma Spalletti mi ha fatto esordire e questo ha un sapore speciale. Con lui non potevo mollare un attimo, in una squadra che lottava per la Champions. Spesso, quando nelle partitelle c’era poca intensità iniziava, anche lui a giocare. Da ex giocatore di qualità preferiva spiegarcelo così”. 

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DA BERGAMO A GENOA: IL FATTORE DELNERI 

Due stagioni in bianconero giocando anche la Champions, ma senza trovare mai quella continuità necessaria per diventare titolare. I numerosi cambi di allenatore, la giovane età e i cambi di ruolo non lo hanno aiutato. Nel 2006 ecco la chiamata dell’Atalanta. “A Bergamo mi sono affermato nel calcio che conta”. Grazie anche a un allenatore che si è rivelato fondamentale per la sua carriera: Gigi Delneri. “L’ho avuto più anni e in due squadre diverse: ha avuto sempre molta fiducia in me. Ho un legame molto stretto con lui. Sin da subito è stato molto chiaro, dicendomi che mi voleva davanti alla difesa e ha avuto ragione perché alla fine ho giocato 33 partite da titolare. Ricordo che si rivolgeva a me come se fossi suo figlio e non posso nemmeno dimenticare quella che poi era diventata un’abitudine: le sfide a calcio-tennis in palestra. Io e Maxi Pellegrino contro Delneri e il suo vice Francesco Conti (sorride, ndr)”.  

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A portarlo in blucerchiato poi fu proprio il neo allenatore del Brescia. “Mi piacerebbe incontrarlo di nuovo, ma contatti diretti in questo momento non ce ne sono ancora stati.  Vorrei tornare in Italia, ma ci sono delle possibilità anche in Brasile e negli Emirati. Inacio Piá e tutto lo staff della Fedele Management se ne stanno occupando”. 

Se Delneri è stato come un padre, tra i tanti talenti con cui ha giocato non ci sono dubbi su chi sia quello più forte. “Antonio Cassano: ha la fantasia nella testa. Quando lui era in giornata non potevamo perdere. Siamo andati in Champions grazie al suo finale di stagione. Ha qualità innate e avrebbe potuto fare di più di quello che ha fatto”. Il più forte, ma anche il più difficile da gestire. “Non dico chi era l’allenatore, ma una volta stavamo facendo tattica e l’allenatore ci diceva: “Portiamo la palla al centrocampista, poi andiamo sugli esterni e poi andiamo sulla punta. E allora Antonio interruppe l’allenatore e disse ‘Aspetta, la palla la date a me e poi decido io! Non vi preoccupate’. Lui era così e poi alla fine in campo spesso funzionava”. 

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Da Bergamo alla Samp, con quella retrocessione clamorosa all’ultima giornata che resta una macchia dell’esperienza italiana. “Un’annata molto strana perché a gennaio eravamo sesti, ma se ne andarono Pazzini e Cassano: diventò una situazione difficile per il gruppo. Provare a spiegare ciò che successe non è facile, ma dispiace tanto soprattutto per i tifosi”. 

TRA ESPERIENZE ESTERE E ACCORDI SALTATI 

Dopo l’addio (o arrivederci) all’Italia, la sua carriera è proseguita altrove. Prima in Spagna – al Maiorca e al Malaga – poi in Portogallo, con una parentesi ucraina al Karpaty. Qualche interessamento da società italiane c’è stato, ma mai una vera offerta. Svincolato da luglio 2019, l’ultima esperienza in campo è stata quella con la maglia del Nacional di Madeira, ma quella più significativa è stata al Desportivo Aves. “Abbiamo vinto la Coppa portoghese contro lo Sporting Lisbona dopo un’annata strepitosa: ci eravamo salvati in anticipo e poi abbiamo vinto la Coppa”. Adesso la società è fallita e gioca nell’ultima categoria. “ Mi dispiace tanto, ma abbiamo fatto la storia e questa non si cancella”. 

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Al contrario di tanti suoi connazionali il richiamo del Sud America non è mai stato assillante, anche se qualche opportunità di rientrare c’è stata. “Ho avuto una possibilità di andare all’Independiente: avevo parlato con l’allenatore, ma il regolamento di quella breve finestra di mercato prevedeva di poter tesserare gli svincolati del calcio argentino e non provenienti dall’estero. Pensavano che essendo argentino potessi firmare ugualmente, ma non mi è stato permesso. Ci sono regole diverse…Ma di tornare in Argentina non ne sento il bisogno, visto che me ne sono andato a 16 anni senza debuttare”. Il suo grande desiderio adesso è quello di tornare nel Paese dove è maturato e dove ha trascorso quasi dieci anni della sua carriera. Un posto che sente quasi come casa.  

A cura di Mattia Zupo