Finisce piegato in avanti, con le mani sulle ginocchia. Colpa della stanchezza, che gli impedisce di manifestare all’istante tutta la sua felicità. Che è tanta, perché il suo Empoli è appena tornato alla vittoria a quasi tre mesi di distanza dall’ultima volta. Dal Cagliari all’Udinese, dal caldo di fine agosto al primo freddo di novembre. Ne sono cambiate di cose nel mentre. Quello che è rimasto uguale è il nome nel tabellino dei marcatori: Francesco Caputo.
Con quello ai bianconeri è arrivato a quota sei gol in dodici giornate. Uno in meno rispetto alle reti segnate in trasferta da tutto l’Udinese, uscito dal Castellani dopo essere passato sotto il settore ospiti a prendersi la ramanzina dei propri tifosi. Ha punito Milan, Juve e Napoli Ciccio. Poi il calendario è tornato clemente con i suoi compagni, lui si è tolto l’abito delle grandi occasioni e ha tirato fuori dall’armadio la divisa da attaccante di provincia. Corner dalla sinistra, spizzata di Krunic e zuccata vincente sul secondo palo. La palla non gonfia la rete, ma supera la linea di pochi centimetri.
Quanto basta per portare il suo Empoli sul 2-0. Per metterlo al sicuro dalla rete con cui Pussetto prova a riaprire la partita a dieci minuti dalla fine. Dopo molti errori, alcuni clamorosi. Velazquez si dispera, i suoi collaboratori – come sempre in tribuna con le loro telecamere per riprendere il match dall’alto - filmano le occasioni divorate da Lasagna, i miracoli di Provedel e il rigore tirato alle stelle da De Paul. A far vedere a tutti come si segna è Caputo, appunto. Che vince il duello a distanza con il numero 15 bianconero, facendo tirare un bel respiro di sollievo al povero Iachini.
Che si sbraccia e si sgola fin dal primo pallone toccato dai suoi. Troppa la voglia di ricominciare, di ripeter quanto fatto con il Sassuolo nella passata stagione. L’obiettivo è sempre la salvezza, anche se forse nemmeno i gol di Caputo lo spingerebbero a togliersi l’immancabile cappellino. Giù il cappello davanti a Caputo, verrebbe da dire però. Da Altamura a Empoli, sempre con quel mignolo e con quel pollice a ricordare quanto sia buona la sua Birra Pagnotta. L’ha portata in alto, dai dilettanti alla A, da Noicattaro al gol segnato alla Juve di CR7.
La Serie A l’aveva solo assaggiata. Otto anni fa, una vita per chi l’ha sempre rincorsa e trovata definitivamente solo a 31 anni. Allora giocava al Bari, in panchina Ventura aveva raccolto l’eredità di Conte, artefice della promozione proprio grazie ai gol di Ciccio. 13 presenze fino a gennaio, l’esordio? Da brividi, a San Siro contro l’Inter. Un solo gol, contro il Cesena. Oggi la musica è diversa. Dopo le reti in B (118 in 300 partite), dopo tre anni in cui ha battuto il portiere avversario per 62 volte. Dopo le passeggiate nel Carruggio di Chiavari con la sua Annamaria e i suoi piccoli Jacopo e Sofia. Lunghe camminate, gli occhi di chi non ha smesso di sognare a illuminargli il volto. Sei gol, solo uno in meno di Icardi, Insigne, Mertens e Cristiano Ronaldo: un presente così, probabilmente, avrebbe fatto fatica a pronosticarlo.
All’altare lo ha accompagnato una canzone che è tutto un programma. “Only time” di Enya, la sua preferita. Alla fine era solo una questione di tempo, bastava aspettare per ripagare in pieno gli sforzi dei suoi genitori. Una famiglia non ricca, ma che lo ha sostenuto in ogni passo della sua carriera. Anche quando giocava fra i dilettanti e tutto questo era impossibile. Oggi, invece, è realtà. E' lui il protagonista di una squadra che lotta per la salvezza e che sta ancora aspettando i gol di La Gumina, costato nove milioni ma ancora secco. Amante dei tatuaggi, imprenditore, killer spietato in Serie B e… bomber in A. Sì, Ciccio Caputo è tutto questo, adesso si può dire.