Paulo Dybala, dietro la maschera. Quella che 'indossa' dopo ogni gol. "Non è solo un'esultanza, è un messaggio". In una lunga intervista al The Guardian, l'attaccante argentino della Juventus si è aperto, ha parlato di sè a 360 gradi, dalla famiglia ai cambiamenti climatici, fino al suo ruolo dentro e fuori dal campo ma iniziando dallo... spogliatoio. Sì, quello che in bianconero condivide con Ronaldo e in nazionale con Messi: "La gente vede solo la punta dell'iceberg, non il lavoro che c'è dietro. Non hanno vinto tutti i trofei che hanno in bacheca perché sono stati fortunati. Lo so che le persone mi devono fare quella domanda...". Chi è il migliore? "Non posso rispondere".
La Juve, il mercato
Dybala ricorda l'estate scorsa, la corte del Manchester United e poi il mancato accordo; l'offerta del Tottenham poi il 'no'. "Ero vicino al trasferimento. Era nei pensieri del club, lo sapevo. Fino all'ultimo minuto siamo rimasti in attesa. Ora ho ancora due anni di contratto, non è un periodo breve ma nemmeno lunghissimo. Vedremo quali saranno i piani della Juventus, se pensano che io debba andare via nella prossima sessione di mercato oppure resti qui. E' una decisione del club ed è difficile da sapere perché le cose possono cambiare in un secondo.
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Ma adesso dono qui, nel club che mi ha sempre trattato bene. Sono felice. L'arrivo di Sarri mi ha aiutato, ha voluto che io restassi, mi ha dato forza quando non sapevamo cosa poteva accadere. So che può insegnarmi tante cose e può aiutarmi a tirare fuori il meglio".
Il (suo) gioco
"Senza il pallone mi annoio. Se passo troppo tempo senza fare un tocco è come se mi sentissi perso. Ma sono fortunato ad essere in una squadra che vuole fare il possesso palla, in cui tutti i giocatori sono bravi tecnicamente. L'idea di gioco di Sarri ci aiuta tanto. Uno, due tocchi. Combinazioni. Movimenti veloci. Quando ho iniziato all'Instituto di Cordoba, il mio allenatore di allora aveva le stesse sue idee.
Quando invecchi e il calcio lo prendi più seriamente, capisci che parti del tuo gioco le lasci alle spalle. A volte hai un allenatore che ti dà una certa libertà e per un attaccante è la cosa migliore e ancora oggi io provo a giocare come ho sempre fatto, col pallone. Non dovremmo mai dimenticare che questo è un gioco e che quando eravamo ragazzini giocavamo per divertimento. Così abbiamo iniziato. Tutti abbiamo un 'bambino' dentro di noi e non dovremmo mai lasciarlo indietro".