“Questo tiro parte da Porta Romana, passa per Interello, Ascoli, Empoli, Sion, Parma, Verona e arriva nello stadio dei miei sogni”. È il minuto 43 di Inter-Frosinone. Per un secondo San Siro rimane in silenzio. Un silenzio fatto di incredulità, magia, sorpresa. Poi il boato. Un tiro partito da centrocampo. Un gol che per bellezza è pronto a entrare nella storia dell’Inter. E, forse, in questo caso è giusto parlare di destino. Perché a segnarlo è stato Federico Dimarco, un figlio di Milano. Quella nerazzurra, naturalmente. “Perché lui interista lo è da sempre”. Siamo andati all’inizio di quel tiro e della storia di quel bambino che sognava la maglia nerazzurra. Tutto nasce a pochi passi da Porta Romana. Sui campi del Calvairate, per la precisione. “Era speciale”, ricordano con un velo di emozione il presidente Danilo Ferrami e il responsabile del settore giovanile del tempo Silvio Vecchio. Tra il centro sportivo e un giardino dove i ragazzi più grandi lottavano per averlo in squadra “perché era il più forte”. Ora la sua casa è San Siro. Da ragazzo in curva a idolo di un popolo. “E per la gente che, ama soltanto te…”. Estasi, come quando da bambino guardava il Meazza.
Il bambino
2 i km che dividono Porta Romana dal campo del Calvairate. 13 quelli che legano il centro sportivo a San Siro. In quel percorso ci sono passato e presente di Federico. Aveva 6 anni quando incontrò per la prima volta il nerazzurro. “L’Inter durante una manifestazione sportiva vide due bambini: Dimarco e Carini. Prese entrambi. Avevamo la classe dei ‘97 più forte di Milano”, racconta Danilo Ferrami, presidente del Calvairate. “C’era la sensazione che Federico nel tempo avrebbe fatto più strada e così è stato. Ha fatto un po’ di gavetta. Sono convinto abbia ancora tanto margine di miglioramento”. Un legame rimasto negli anni: “Ogni tanto torna. Viene a qualche festa di Natale a salutare i nostri ragazzi”.
E da Calvairate è passato anche il fratello Christian: “Dicevano fosse più forte di Federico. Ora in estate viene qui ad allenarsi prima di iniziare la preparazione con la propria squadra”. Ah, prima di andare: “Qualche foto di Federico al Calvairate?”. “Purtroppo no, è andato tutto perso con una inondazione qualche anno fa”
“Era speciale. Nerazzurro da sempre”
“Per farsi raccontare davvero la storia del piccolo Federico senta Silvio Vecchio il Responsabile della scuola calcio del Calvairate”, ci consiglia il presidente Ferrami. “Me lo segnalò l’allenatore e decisi di guardare la partita della domenica successiva. Inoltre, da tre settimane eravamo diventati un Inter Campus. Notai subito la differenza con gli altri”. Due le immagini ancora negli occhi del signor Vecchio: “Ricordo il primo pallone toccato da Federico: si alzò, lo stoppò di petto e fece partire una legnata all’incrocio”. E poi: “Avevamo la squadra dei ‘94 a cui mancavano diversi giocatori. Portammo su Federico. Mancava poco che gli avversari facessero ricorso perché da solo segnò 4/5 gol”. Dopo il passaggio all’Inter “spesso andava alla Rotonda della Besana, dove c’è un cortile all’aperto e lì i ragazzi più grandi giocavano a calcio. Nonostante fosse più piccolo di 3/4 anni veniva sempre scelto per primo. Abitava in zona, vicino a Porta Romana dove i suoi avevano un negozio di frutta e verdura”.
Una famiglia esemplare che “ha contribuito molto nel suo saper reggere le pressioni”. Una fede, quella nerazzurra, presente da sempre: “Lui era interista sfegatato. Aveva una testa diversa dagli altri. Ha sempre voluto migliorare. Non si è mai sentito arrivato, ha dentro il desiderio di crescere continuamente”.
Essere Calvairate
Una crescita, quella di Federico, graduale e razionale. Un percorso coerente con l’essenza del mondo Calvairate: “Sono presidente dal 1994, la mia volontà è sempre stata quella di dare al calcio un senso ampio. Un’ottica rivolta non solo al risultato, ma anche all’educazione sportiva”. L’importanza del settore giovanile: “Abbiamo dato quasi più importanza e attenzione ai più piccoli”. In questo ambito “nasce la collaborazione con l’Inter, tramite Roberto Samaden”.
L’attenzione alla crescita dei ragazzi: “Pensiamo al loro bene. Appena c’è la possibilità di mandarli in realtà in cui possano continuare la loro crescita lo facciamo, non tenendoli vincolati a noi. Non li freniamo, vogliamo essere un posto in cui valorizzare la persona. Meritocrazia, onestà e sincerità. Cerchiamo di fare una attività seria e pulita che rispetti i principi sportivi”. E i risultati si vedono.