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L’esultanza verso il cielo: il Torino si aggrappa a Nicola, come quindici anni fa

Quell'urlo verso al cielo, gli occhi spalancati, le vene del collo che si vedono, una a una. Davide Nicola e il Torino sono in quell'immagine, che per molti tifosi indica il miracolo. Riavvolgiamo il nastro di quindici stagioni. Annus horribilis, il 2005: la promozione ai playoff con il Perugia fu troncata dal fallimento. “Il Toro è fuori, il Toro è vivo”, titolavano i giornali dell'epoca. Una speranza, diventata realtà: il Lodo Petrucci, quindi l'arrivo di Cairo. Era metà agosto, il calciomercato non avrebbe potuto permettere a De Biasi di avere una squadra completa e competitiva in tempo. Si ottenne una proroga di sei giorni, in cui il ds di allora, Fabrizio Salvatori, passò giorno e notte al telefono per chiudere le trattative. Arrivarono, tra gli altri, Stellone e Muzzi (con gli scarpini nel bagaglio a mano: il pomeriggio avrebbe esordito nella prima gara ufficiale con l'AlbinoLeffe), ora ricongiunti ad Arezzo. Arrivò Nicola.

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La storia della sua trattativa è durata meno dello schiocco delle dita, di un battito di mani. E a Torino, di applausi ne ha raccolti tanti, nonostante in granata abbia vissuto un solo anno. Ma che anno: 39 partite, 2 gol. Uno nella stagione regolare contro il Cesena, l'altro nell'incontro più importante di tutti. Caldo feroce, sessantamila persone all'allora Stadio “Delle Alpi” (l'attuale Allianz della Juve): di fronte al sorprendente Mantova di Di Carlo, il Torino si trovò costretto a recuperare uno svantaggio dell'andata, un 4-2 che faceva paura. I lombardi trovarono una bolgia, il Torino chiuse i 90' sul 2-0, non abbastanza. Tempi supplementari. E al 95', il biondo terzino saltò di testa più in alto di tutti. Gol. Quello che avrebbe regalato la promozione in A, trecentosessantacinque giorni dopo il disastro.

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In campo sdrammatizzava spesso”, ha raccontato Fabrizio Salvatori (qui l'intervista e il retroscena dell'arrivo di Nicola). Ma quando c'era da assumersi le responsabilità, non si tirava indietro. A metà della stagione, la squadra non andava come doveva: iniziarono ad arrivare voci della spaccatura dello spogliatoio. Durante una conferenza stampa, Nicola si presentò con un foglio appiccicato sulla schiena: “Rottura del gruppo? Tutto cazzate”. Fu eloquente, i giornalisti rimasero a bocca aperta. I tifosi pure.

"Ritorno" al Filadelfia

Un anno insieme, quindi la separazione, ma un legame che non si sarebbe mai più rotto. Casa sua è a Vigone, a mezz'ora da Torino: ancora adesso viene visto con quel senso di gratitudine per quella stagione. E lui, per ringraziare i tifosi, ha pensato a un gesto ancora più simbolico: per festeggiare la salvezza con il Crotone nel 2017, decise di percorrere l'Italia in bicicletta. Un'iniziativa pensata anche per la sicurezza nelle strade, per fare sì che la tragedia vissuta in prima persona (la scomparsa del figlio) non diventasse anche di altri. Dalla Calabria alla sua Vigone, passando anche per Torino. Tappa: Filadelfia. “Questo è il cuore pulsante del Toro”, aveva detto. Non poteva sapere che quattro anni dopo, quel cuore sarebbe stato anche un po' suo. È affaticato, stanco. Ha bisogno di una scossa.

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Una famiglia numerosa, un quinto figlio che si chiama Valentino (non è per Mazzola, ma il collegamento è romantico, quasi rafforzativo), e un motto che da qualche anno lo accompagna. “Non penso che siamo artefici del nostro destino. Quello non possiamo controllarlo, purtroppo. Possiamo però affrontarlo a testa alta e vedere come reagiamo”. Non è rassegnazione, ma moto d'orgoglio. E in una stagione come questa, a Torino ne servirà molto. Come quindici anni fa.