Da cameriere al Leicester in tre giorni: la favola di Davide Lorenzo
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Data: 10/10/2018 -

Da cameriere al Leicester in tre giorni: la favola di Davide Lorenzo

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“Avrei dato il sangue per giocare in Serie C”. La storia di un ragazzo che ci ha provato in tutti i modi, senza mai riuscirci. Una vita intera da sognatore, accarezzando troppe volte la possibilità di poter diventare un giocatore. Una settimana fa però qualcosa è cambiato.
“Avrei dato il sangue per giocare in Serie C”. La storia di un ragazzo che ci ha provato in tutti i modi, senza mai riuscirci. Una vita intera da sognatore, accarezzando troppe volte la possibilità di poter diventare un giocatore. Una settimana fa però qualcosa è cambiato.

Lunedì 1 ottobre 2018. Un ragazzo di 24 anni si trova a Nizza, si è trasferito in Francia per stare vicino a Noemi, la sua ragazza. Lavora alla Petite Maison, uno dei ristoranti più in voga della città. Lo fa per mettere da parte un po’ di soldi, perché ultimamente ne ha spesi parecchi, per inseguire il proprio sogno. Qui pagano bene, la clientela è di un certo livello. Qualche giorno prima c’era anche Mino Raiola con Maxwell. Stasera invece c’è un gruppo di tailandesi. Tra di loro anche Vichai, il proprietario del Leicester. Così Davide Lorenzo, il protagonista di questa storia, si avvicina. Davide non ha paura, non ha più tempo da perdere. Inizia a raccontargli la sua storia, dei numerosi tentativi falliti, della voglia di fare il calciatore. Così arriva LA risposta, quella che neanche in un sogno Davide si sarebbe mai immaginato. Tre giorni dopo si ritroverà a Leicester insieme a Jamie Vardy.

Parla come un ragazzino, quale in realtà è ancora essendo nato nel 1994, che però ha alle spalle una carriera decennale. Invece no, Davide Lorenzo cresce nelle giovanili del Torino, per poi passare alla Juventus a 14 anni, seguito da Fabrizio Vigo. Tutto sembra in discesa, ma non è così. Il calcio italiano è spietato. Un giorno sei una giovane promessa, quello successivo non più. Tempo per crescere pochissimo. Così Davide decide di partire, valigia in mano. “Ho girato l’Europa. Sono andato a Malta, poi nella Serie C norvegese, poi ancora Belgio e Svizzera. Volevano giocatori pronti per la categoria, io avevo bisogno di crescere e di entrare in condizione”, racconta in esclusiva a GianlucaDiMarzio.com.

Poi il richiamo dell’America, la Grande Mela, New York! “Tramite Nicola Innocentin sono partito per gli States, i New York Cosmos. Gli allenamenti erano a Brooklyn, e io vivevo nel Queens, la sera potevo metterci anche un’ora per tornare a casa, in una zona non esattamente facile”. Ma l’American Dream non dura. Davide ha un visto turistico, il tempo stringe. “Provo anche con i RedBull, quell’anno erano i più forti, erano campioni in MLS. Ho giocato nella seconda squadra, poi il visto mi è scaduto e sono dovuto tornare”.

Ma a New York Davide incontra una persona difficile da dimenticare: Patrick Vieira. Ed il modo in cui avviene l’incontro fa capire parecchio della voglia e della personalità di questo ragazzo: “Me lo disse Joe Hart, che avevo conosciuto per amicizie comuni, di Vieira a New York, io non lo sapevo neanche! Così mi sono presentato al campo dall’allenamento del New York City FC, senza dire nulla. Vieira mi ha aperto le porte del suo ufficio, mi ha ascoltato, ma non poteva fare molto, visto che in America non investono sui giovani stranieri. Ci sono pochi posti che ovviamente dedicano ai top come Pirlo e Giovinco”.

Così Davide torna in Italia, ha una proposta dalla Grumellese in Serie D, ma alla fine dice di no per motivi personali. “Sono partito per Nizza, lì vive la mia ragazza, poi avevo un contatto con Frank Sale del Nizza. Ma una volta arrivato in Francia la situazione era diversa. Frank non c’era più, sono rimasto fermo, era ottobre 2017, i campionati era già iniziati. E ho lavorato, per una società finanziaria, ho viaggiato anche parecchio”. Ma il sogno non era mai svanito nella sua testa. Così, un mese fa, l’idea di lavorare qualche settimana nel ristorante che poi gli avrebbe riservato la più grande sorpresa della sua vita.

“Quando gli ho raccontato di avere fatto le giovanili alla Juventus Vichai mi ha guardato in maniera strana. Cosa ci fai qua allora? E quindi gli ho raccontato la mia vita, prima ancora che arrivasse l’antipasto, io sono fatto così. Ho raccontato delle mie difficoltà, delle seconde squadre. Lui si è appassionato. Incredibile la vita eh? Un anno fa non sapevo l’inglese, l’ho imparato a New York dove non ce l’ho fatta, ma senza quell’esperienza non avrei mai potuto raccontare la mia storia al proprietario del Leicester. Ora parlo quattro lingue…”.

“Ti piacerebbe giocare in Tailandia? O in Belgio?”, mi chiede.

“Guardi io andrei ovunque, ma ora mi devo mettere in forma, mi devo allenare”.

Così Vichai lo ha invitato a Leicester a sue spese. La stessa sera Davide ha mandato le foto del passaporto al suo tuttofare. Tre giorni dopo era su un aereo. Destinazione Leicester. Venerdì il primo allenamento, subito nella mischia, con tutti i ragazzi che lo hanno preso in simpatia. Come Benalouane, che l’Italia la conosce bene: “Mi ha portato a cena la prima sera, persona disponibilissima, mi sta aiutando tanto. Sabato scorso ero in tribuna con il presidente, l’unico giocatore. Mi ha detto di pensare solo ad allenarmi, e che ci saremmo rivisti a fine mese”.

Il primo colloquio con Puel, in francese, c’è stato oggi: “Mi ha detto di continuare così che sto andando bene. Stanno vedendo la mia voglia e le mie qualità, ora però devo rimettermi in forma. Ma è un sogno, davvero. Ora c’è la pausa, mi alleno con Adrien Silva, Mendy. Incredibile, un mese fa avrei dato il sangue per giocare in C. Ci ho sempre creduto, anche grazie al mio mental coach Gennaro Russo, non mi ha mai lasciato solo”.

Un sogno. D’altronde Leicester è la città dei sogni. Lo è stato per l’attaccante-operaio Vardy (che proprio dopo aver letto questa intervista gli ha regalato la maglia), lo è stato per Claudio Ranieri, per una città intera in quel magico 2016. Chissà, forse questa città porta davvero bene agli italiani. Forse è quello che ha pensato anche Vichai Srivaddhanaprabha quella sera alla “Petite Maison”.



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