Arturo esce di casa solo per fare la spesa. Come noi. “Sono appena tornato. Ho comprato di tutto perché voglio evitare il più possibile di stare fuori”. È il suo modo di “difendere se stesso e gli altri” adesso. Difendere, sì. Usa proprio una parola che caratterizza il suo lavoro: in campo è il suo ruolo. Esterno destro basso dell’Amiens in Ligue 1. A fine dicembre ci aveva aperto le porte della sua casa a Roma. Oggi è costretto a chiudersi dentro la sua dimora francese, insieme alla sua ragazza Flavia. “Anche se qui non ci sono ancora restrizioni, seguiamo le regole dell’Italia. È il momento di essere responsabili. Qui per ora è come se fosse tutto tranquillo: negozi aperti, gente che chiacchiera per strada… Io e Flavia potremmo anche andare al ristorante, stiamo bene. Ma se in realtà fossimo asintomatici e trasmettessimo il virus? In questo momento non si può giocare con la salute”.
Tutti fermi in Ligue 1. "Finalmente. Era assurdo giocare"
E finalmente si è smesso di giocare a pallone anche in Francia. Campionati sospesi, ma non gli allenamenti. “Siamo fermi nel weekend, ma all’inizio della prossima settimana torniamo ad allenarci. Precauzioni? Allenamenti a gruppi, misurazioni della febbre prima della sessione e doccia a casa dopo. Menomale che il campionato è stato fermato. Mi sembrava assurdo giocare. Il problema è che anche in Italia fino a due settimane fa la situazione non sembrava così tragica. Oggi sento i miei a Roma e vedo un rispetto delle regole quasi commovente. Un’obbedienza necessaria. È una questione di vita o di morte, in Italia lo abbiamo capito”.
"Mascherine e amuchina dall'Italia. Qui ancora sono tranquilli"
In Francia ci stanno arrivando. Con un colpevole ritardo. Le scene all’esterno dello stadio di Parigi hanno fatto il giro del mondo. Arturo non vuole avere atteggiamenti professorali. Non ha niente da insegnare. Stile Klopp, ma un po’ di amarezza traspare: “È chiaro che ci sia stata una sottovalutazione del problema anche qui. Dispiace vedere un certo menefreghismo di fronte a un fenomeno che porta conseguenze devastanti. Tornando dal supermercato, ho iniziato a vedere persone con la mascherina per strada. Qui per il momento non c’erano. Io e la mia ragazza ci siamo fatti mandare un pacco con amuchina e mascherine dall’Italia”.
Anche Amiens, che al momento ha avuto solo pochi casi di contagio, inizia ad avere paura. “Qualcuno si è spaventato quando ci ha sentito parlare in italiano alcuni giorni fa. È normale, non me la sono presa. Questo è un momento particolare in cui tutti ci sentiamo più vulnerabili. O almeno così dovrebbe essere”.
Le telefonate a Roma, le risposte ai compagni
Il pensiero per l’Italia corre nelle telefonate che si sono intensificate con casa Calabresi a Roma. “Mi dispiace non essere vicino a loro, ma almeno non ci sono rischi di trasmissione. Penso ogni giorno ai medici che stanno in corsia a cercare di fronteggiare una situazione fuori controllo. Quello che stanno facendo per la comunità non può essere messo a repentaglio da atteggiamenti sbagliati di chi deve solo stare a casa. Per questo, anche noi qui ci comportiamo così”.
Nei giorni scorsi, Arturo ha risposto alle tante domande dei suoi compagni. Cittadini impauriti, come tutti. “Ho fatto capire che è una cosa seria. Ne sono stato coinvolto prima degli altri per le notizie che arrivavano, anche se per fortuna nella mia famiglia stanno tutti bene”.
"Non potremo dirci vincitori alla fine, ma saremo tutti diversi"
Il primo weekend senza calcio Arturo lo passerà “guardando serie in tv e leggendo Mamba mentality, il libro di Kobe Bryant. Pure questa tragedia abbiamo avuto: che 2020 mamma mia…”. Dal dramma di Kobe all’emergenza Covid-19: un anno disastroso. Ma per chi come Arturo sa sempre guardare oltre, una luce in fondo al tunnel già s’intravede. “Quando tutto questo sarà finito, saremo sicuramente diversi. Più responsabili, più disposti al sacrificio per il prossimo. Ce la faremo, anche se non potremo dirci vincitori dopo una tragedia simile. Ma guarderemo tutto con altri occhi”.