“La mia scommessa con Gigi: la tripletta era per lui”, Combin ricorda Meroni
Il 15 ottobre 1967 moriva Luigi Meroni. Intervista a Nestor Combin, suo compagno di squadra al Torino: “Un’amicizia vera. Io lo difendevo come un fratello”
“Guarda che ho
fatto, Gigi! Ce l’ho fatta!”. Quando giocava loo chiamavano la
foudre, che in francese vuol dire folgore. E con Meroni formava una
coppia formidabile. Moderna. Non segnavano tanto ma divertivano e si
divertivano. Questo Nestor Combin se lo ricorda bene. Raccontare la
Farfalla granata, così veniva soprannominato Meroni, è facile
per tutti: era un pittore, uno stilista, viveva in una mansarda in
centro, con quei capelli lunghi che gli costarono la Nazionale. Tutte
cose note. Raccontarlo attraverso gli occhi lucidi di chi in Meroni
vedeva quasi un fratello è diverso. “Ma lei lo sa com’era
Luigi?” chiede commosso, pensando che in quel maledetto 15 ottobre
1967, ormai 51 anni fa, su corso Re Umberto a Torino perdeva la vita
uno dei talenti più puri che l’Italia avesse fino ad allora
ammirato.
79 anni, qualche
acciacco alle spalle, ma una memoria che non lo tradisce. Almeno non
su Meroni. “Ci vedevamo sempre: lui, io, Cristiana (la sua
compagna, ndr) e mia moglie Colette. È stata tra le migliori
amicizie della mia vita. Quando ci siamo trasferiti qui vicino a
Montpellier abbiamo voluto portare delle foto preziose che avevo con
Gigi. Dei ricordi veri, che soltanto io ho. Le tengo sempre in vista”
racconta a Gianlucadimarzio.com.
Combin su Meroni: “Lui prendeva i calci, io andavo a litigare”
Argentino di
nascita, francese d’adozione, Combin ha mantenuto tutta la veracità
italiana appresa in sette anni (dal 1964 al 1971) nel Belpaese,
quando ha vestito le maglie di Juventus, Varese, Torino e Milan. Era
estroso, dentro e fuori dal campo. A Torino, in granata, quando
finiva gli allenamenti al Filadelfia si spostava di qualche metro per
andare a giocare a carte con gli operai dell’area Combi che
finivano il turno. Sa di aver commesso tanti errori, di non essere
stato costante, ma nessuno gli ha mai rimproverato la mancanza di
onestà o di correttezza. “La sa una cosa?” continua, “io non
ho mai visto un giocatore così talentuoso ed educato come Meroni”.
“Lo prendevano
tutti a calci. Ma lui non diceva niente: i difensori avversari lo
marcavano così stretto da non farlo giocare. E io mi arrabbiavo
molto” racconta. “Pensi che quando Meroni subiva un fallo duro, a
protestare andavo io. Dicevo agli avversari: perché non picchiate
me? Perché sempre con lui? E Gigi cosa faceva? Veniva a calmarmi! E
poi non gli ho mai sentito dire mai una parolaccia. Era stravagante,
ma un signore”.
Non vuole parlare
degli episodi che hanno contraddistinto il Meroni personaggio. Come
la gallina in centro per Torino o l’auto sportiva o il fatto che
venisse chiamato a volte “Quinto Beatle”. Sentendo Combin, emerge
soprattutto il Meroni uomo. “A lui ho confidato molti aspetti
privati della mia vita. Mi diceva: stai tranquillo, non fare il
matto. E io lo abbracciavo: che consiglio è?”.
“Il mio ultimo saluto a Meroni: quella scommessa vinta…”
Anzi, una volta a
dirgli che era “matto” era stato lui. Ed era proprio la sera di
quel 15 ottobre. “Come sempre dopo una partita andavamo tutti a
cena insieme. Avevamo vinto 4-2 contro al Sampdoria e io avevo
segnato tre gol. Lui era con Poletti, mi chiese di andare a prendere
un caffè con loro. Gli dissi che era matto, che ero stravolto e che
stavo già pensando al derby della settimana dopo. Sa cosa mi
rispose? Che avevo avuto fortuna e che non avrei mai segnato una
tripletta alla Juve. Lo mandai a quel paese e ci salutammo.
Furono le
nostre ultime parole, venti minuti prima dell’incidente”.
Su quel corso,
Attilio Romero (il futuro presidente del Toro) non riuscì a frenare
in tempo la Fiat 124 coupé che guidava: investì Poletti e Meroni,
che stavano attraversando la strada in maniera forse troppo
avventata. Il difensore ne uscì leggermente ferito a una gamba. La
“Farfalla granata” invece prese il volo.
“Era speciale”
continua Combin. La voce sempre più commossa. “Ma io quella
scommessa l’ho vinta. E quando alla Juve ho segnato la
Giocò, segnò,
vinse. “Non potete nemmeno immaginare quanto piansi, rientrando
negli spogliatoi”. Ma ce l’aveva fatta. Aveva vinto la scommessa
con Meroni. La scommessa più difficile di tutte.settimana
dopo il mio terzo gol, gliel’ho gridato: Hai visto, Gigi! Guarda
che ho fatto! Ce l’ho fatta!”. Quel derby giocato il 22 ottobre
fu memorabile. Il Torino vinse 4-0 onorando la memoria di Meroni: “E
pensare che non volevo giocarlo”, dice Combin. “Avevo avuto la
febbre e mi sentivo senza la minima forza. Fu Nereo Rocco a
mandarmi comunque in campo, dicendomi di farlo proprio per Luigi. Non mi convinse
quello, ma il fatto che il mio allenatore aggiunse che ero
stipendiato dal Torino per giocare e avrei dovuto giocare”.