Se Sousa (non) chiama Chiesa: “Fede, è tutto nelle tue mani”
Aveva quasi le lacrime agli occhi, quando Sky lo aveva intervistato: era lo scorso aprile, la Juventus era solo un’ombra, una lontana prospettiva. C’era, ma niente di tangibile. Federico, che di cognome fa Chiesa, però si commuoveva: ringraziava Sousa più volte, pensando a quell’esordio tra i grandi. Incroci incredibili: Paulo Sousa, ex giocatore della Juve, a Firenze da allenatore fa esordire il 20 agosto 2016 Chiesa. Contro i bianconeri. Quelli che l’ultimo giorno di questo calciomercato lo hanno acquistato dalla società di Commisso. E dopo la Nazionale, il giorno uno da juventino di Federico si apre così, con l’augurio a Gianlucadimarzio.com di chi gli ha dato la possibilità a 19 anni (guardate la sua foto, qui in basso) di diventare un uomo.
Tempi autunnali, freddi. “Mi senti? Mi vedi?”. Come no, mister: felpa nera, occhiali tondi, un grosso specchio alle spalle e un sorriso che si allarga quando si parla di Federico. Potere delle call: le interviste si fanno anche così. Partiamo. “No, non ci siamo scritti”. Ma come? “Non serve tra noi: lui e tutti gli altri giocatori sanno che non sono i messaggi a rendere vicine le persone. Io per loro ci sarò sempre”. È il preludio del discorso. Perché Sousa tiene al suo lavoro, alla crescita dei giocatori che ha avuto. “Federico era già pronto, si capiva subito: ha una famiglia importante che lo ha sempre sostenuto e soprattutto aveva voglia di arrivare. Quello che faceva non era mai abbastanza. Ma non in partita, in allenamento”. E da lì la favola ha inizio.
"Guai a farlo partire"
Estate 2016, ritiro precampionato. Chiesa viene aggregato alla prima squadra. “Con i dirigenti della Fiorentina ero stato chiaro: Federico non doveva partire. Ho dovuto lottare per riuscirci. Di solito i giovani si mandano in prestito, sì, ma a volte è anche giusto puntare subito su di loro. Acquisiscono fiducia nei loro mezzi, soprattutto se ne hanno. E poi ero convinto che la sua personalità avrebbe fatto la differenza, che prima o poi sarebbe riuscito a indossare la fascia da capitano”. Quella che ha fatto però arrabbiare tanto, a posteriori: “Ma è normale. Quale squadra e quale tifoso vorrebbero privarsi di uno dei giocatori più forti della rosa? Io credo che la Juventus abbia fatto un grande acquisto, anche perché non ha ancora raggiunto il livello di equilibrio tale da poter essere un giocatore completo”.
“Analisi, decisione, esecuzione”
Equilibrio, una parola che ripete tanto. “A volte Federico ha frenesia, voglia di fare troppo”, dice. “Scontrati io e lui? Mai, ma glielo dicevo. I concetti sono tre: analisi del momento di gioco, decisione di cosa fare ed esecuzione. Quando li avrà assorbiti tutti, sarà al top. È una questione di tempi (dice spesso timing: il suo italiano è perfetto, ma l’inglese in questo caso lo aiuta di più, ndr), capire come ragionare”. Di equilibrio, insomma. “L’unico consiglio che posso dargli è quello di rimanere sempre concentrato. Anche fuori dal campo. Corpo e mente sempre allenati e allineati, con un obiettivo ben preciso in testa: quello che vuole diventare è chiaro a tutti. Ora capisca come farlo”.
Con Pirlo
Che le sue parole non siano banali, lo si intuisce da diversi passaggi. Sousa non ha bisogno di schermarsi: le cose le dice e basta. Per esempio, sul ruolo del giocatore alla Juventus, un’idea precisa ce l’ha eccome, senza per questo sembrare invasivo nei confronti del lavoro di Pirlo: “Se penso a un 4-3-3, Federico può giocare ovunque dal centrocampo in su. Sì, ovunque: in attacco può ricoprire tutti e tre i ruoli, ma lo vedrei bene anche come interno, ai lati di un regista. Con la difesa a tre? Bisogna vedere anche nel meccanismo con Ronaldo: i moduli, soprattutto con giocatori così, sono fluidi. Diciamo questo. Giocatori con le sue caratteristiche possono essere divisi in due categorie: quelli che preferiscono stare solo sull’esterno e quelli che vanno anche per vie centrali. Io penso sia più facile giocare a lato: hai meno cose a cui pensare, mentre al centro devi avere la capacità di guardarti intorno, bisogna pensare e avere velocità di esecuzione. Ecco, Federico ha tutto questo. Deve capirlo”.
E le pressioni? “Le reggerà. L’ho già detto: per me Chiesa può già scendere in campo in Champions, per dire. Ha tutto per fare bene, dipende tutto da lui”. La Juventus può aiutarlo? “Sì, ne sono convinto. Già a partire da dove andrà a vivere. Quando ero arrivato alla Juve, la società mi consigliò la Mandria. Bellissima. Un po’ isolata, sì, ma spesso mi capitava di stare insieme con Umberto Agnelli, la moglie Allegra e il figlio Andrea”. Ora è presidente. “Già”, sorride divertito. “Comunque Federico può anche pensare di andare a vivere in città: si vive molto bene a Torino. I giocatori sono seguiti, sanno sempre che alle loro spalle c’è una società forte”.
Il sogno Juventus (e non solo)
Un altro sorriso. Ma Sousa, ci perdoni, non è che ha accarezzato l’idea di allenarla, la Juve? “Io non mi nascondo, lo sanno tutti: il mio obiettivo è di sedere su una panchina di squadre di quel livello. Voglio realizzare i miei sogni. Sono preparato? Sì. E ho uno staff di alto livello”. La scorsa stagione era in Francia, al Bordeaux. “Ora aspetto, è questione di tempo e poi tornerò in panchina. Il mio lavoro? Ho sempre pensato che la condivisione sia tutto: a Firenze aprivo il centro a chi volesse venire a vedere quello che facevamo. Penso che la condivisione del metodo di lavoro arricchisca tutti. È reciproco, può aiutare ad arrivare al top. E io voglio arrivarci. Anzi, ci arriverò”. Com’era? Obiettivi chiari in testa? Federico può prendere appunti: gli saranno utili. Di nuovo.