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Giampiero Boniperti, una vita vista in bianco e nero

Da “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta” a “la Juve non è soltanto la squadra del mio cuore, è il mio cuore”. Chi era Giampiero Boniperti

Per far capire chi fosse Giampiero Boniperti basterebbe pronunciare una frase, la più celebre: quel “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta” diventato un mantra per i tifosi juventini. Perché la vittoria per il Presidentissimo era l’obiettivo primario, non erano ammesse altre possibilità se indossavi la maglia della Juventus. Un DNA vincente mostrato prima in campo per 469 partite, poi dietro una scrivania da dirigente.

 

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Chi era Giampiero Boniperti

Dopo aver tirato i primi calci al pallone in squadre di Provincia, Boniperti nel ’46 arriva alla Juventus appena 17enne per una cifra di 60mila lire divise a metà tra il Barengo, squadra del suo paese, e il Momo, che deteneva il cartellino. Indossò la maglia bianconera 444 volte in campionato, eppure quando era bambino si sarebbe accontentato di portarla una volta per essere felice per sempre, come aveva raccontato qualche tempo fa.

Il “centro-campista” di Brera

Una vita in bianconero, tra campo e scrivania, con un denominatore comune: la vittoria. Cinque scudetti da calciatore, tre dei quali conquistati con il “Trio Magico” di cui facevano parte John Charles e Omar Sivori, trofei in Italia e in Europa da dirigente. Fonte di ispirazione tanto per i colleghi quanto per chi si limitava a guardarlo. È stato l’uomo del neologismo, ispirandosi a lui Gianni Brera aveva coniato il termine centro-campista.  

 

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Quando Boniperti indossò la maglia del Toro

Un amore viscerale per il bianco e il nero, che lo portava a lasciare la partita al termine del primo tempo e a sentire il secondo alla radio. Le più sentite erano le stracittadine con il Torino. “Il derby mi consuma, amo così tanto la Juve che non può essere altrimenti”, aveva spiegato. Rivalità ma soprattutto tanto rispetto per l’avversario, che lo portò a indossare la maglia granata in una partita di beneficenza nel ’48 per ricordare i caduti di Superga. “Il Grande Torino era uno spettacolo eccezionale – raccontò – , e Mazzola era l’anima di quella squadra”.

 

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Da qualche anno si era ritirato a vita privata, ma sempre con lo stesso amore per la Juventus. Una vita spesa in bianconero, per amore e per passione. Perché “la Juve non è soltanto la squadra del mio cuore, è il mio cuore” diceva Boniperti. E non si fa fatica a credergli.