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Empoli, Caputo: “I 50 giorni più duri della mia vita. Sofia ci ha dato la forza per ripartire”

La prima parte dell’intervista all’attaccante dell’Empoli, Caputo che ricorda la dura estate trascorsa in ospedale al fianco della figlia Sofia

“Avevo pensato di smettere dopo 20 giorni, ma non avevo detto nulla a nessuno”

Stop. Ciccio si ferma, si porta la mano sugli occhi e abbassa la testa. Un respiro profondo e quando se li scopre sono lucidi e arrossati. Si toglie la felpa per rimanere in maglietta e chiede di aprire la finestra. Una bottiglietta d’acqua e un fazzoletto posati sul tavolo accanto al telefono ci faranno compagnia da questo momento in poi. “So io quello che ho passato. È difficile, ma il peggio è alle spalle”, le prime parole quando Ciccio riprende a raccontare, accompagnate da un sorriso smorzato di chi ricorda bene quei momenti, ma è consapevole di averli superati. “Avevo pensato di smettere dopo 20 giorni, ma non avevo detto niente a nessuno”. 

Un ruolo fondamentale in quel periodo lo ha avuto una persona: “Il dottor Gagliardi del reparto di neurologia. Da quando ha preso in carico la bambina è sempre stato positivo. Lui gioca a calcio con gli amici e mi faceva spesso delle battute per tirarmi su, ricordo che mi chiese quando avrei dovuto iniziare il ritiro e mi disse di chiedere una settimana in più alla società. Era convinto che la situazione sarebbe migliorata da un giorno all’altro, perché era una patologia che aveva già curato. Grazie a lui non ho preso una decisione affrettata, giusta o sbagliata non lo so, ma mi ha dato quella forza per andare avanti che è un messaggio anche per mia figlia: in un momento di difficoltà siamo ripartiti. Grazie a lui, la bambina è uscita dall’ospedale il 9 luglio, l’Empoli è andato in ritiro il 10 e avevo chiesto la possibilità di rientrare il 17. Ora posso dire che mia figlia è tornata a scuola, a vivere e a sorridere, per fortuna è andato tutto bene. Non è stato facile farglielo capire, perché non ricordava nulla. Ora sta iniziando a metabolizzare piano piano ciò che è successo”.

 

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Da leader dello spogliatoio e in campo nell’Empoli a roccia sulla quale appoggiarsi per sua moglie e i suoi figli. Il numero 9 sospira e beve un altro sorso d’acqua, prima di spiegare le difficoltà vissute e la prova alla quale è stato sottoposto: “In quei 50 giorni sono stato il punto di riferimento per la mia famiglia. C’è stato un momento in cui è stata veramente tosta: nel reparto in cui era ricoverata potevano starci solo i genitori. Non mi sono neanche potuto allenare in vista del ritiro. Quando mia figlia ci ha dato i primi segnali, mi sono detto che dovevamo ripartire tutti. Lei stava reagendo e ci ha dato la forza per non chiuderci e mollare. Sono stato vicino a mia moglie: le dicevo di non preoccuparsi, che Sofia sarebbe tornata e alla fine ce l’abbiamo fatta. Siamo ripartiti, ma solo ora inizio a essere tranquillo e libero di testa. Adesso non ho più alibi, ma la prima parte di stagione non è stata facile”.

L’abbraccio con Sofia dopo la dedica e il messaggio del tifoso viola

Dopo la vittoria nel derby dell’Arno e il messaggio in tv, Caputo ha rivisto la sua Sofia a casa. “Mi ha aspettato sveglia e mi ha abbracciato. Mentre tornavo a casa, mi ha scritto un messaggio su Whatsapp: “Pà sei la mia vita”. Non ti nego che da quando ho vissuto questa situazione vedo molte cose con un altro occhio. Al primo posto ci sono i figli. Non che prima non ci fossero, ma quando ti toccano personalmente queste cose ti rendi conto quali siano davvero le priorità”. 

  

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Quando parla di Sofia, gli si illuminano gli occhi, ma il suo non è stato l’unico messaggio ricevuto. “Ne ho ricevuti tanti, da amici e parenti che ringrazio perché mi hanno aiutato. Ma ne ho letto uno su Instagram di un tifoso della Fiorentina che diceva: “Ciccio, ti ho insultato dopo il gol fino alla fine della partita, te ne ho dette di tutte, ma dopo ho visto l’intervista e la persona che sei, mi sento veramente una merda. Scusami, sarò un tuo fan da ora in poi”. Da tifoso non ha nessuna colpa vista la rivalità e non sapendo che cosa avessi vissuto. Questo mi ha colpito davvero”.