Calciosofia - quando filosofia e calcio si incontrano in un bar...
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Data: 23/02/2016 -

Calciosofia - quando filosofia e calcio si incontrano in un bar...

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L’accostamento fra filosofia e pallone è tanto affascinante quanto inevitabile. Il calcio è molto più di un semplice sport, e come tale va trattato. Noi ci divertiamo così: a far sporcare le mani – e i piedi – alla filosofia, facendola parlare di calcio. Con semplicità, rispetto e un pizzico d’ironia. Perché, come dice Mourinho, “chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”

Chi non si è mai trovato al bar a parlare di calcio? Sicuramente però nessuno si è mai sentito filosofo. Invece – liberi di non crederci – è proprio così: quando discutiamo con i nostri amici siamo tutti un po’ filosofi del calcio. Pensiamo all’Inter degli 1-0. Non è raro sentire un tifoso nerazzurro dire: “Non mi importa come giochiamo, basta che vinciamo”. Ecco, è un esempio di filosofia cinica, il cui unico scopo è la ricerca della tranquillità, quindi della vittoria. Se invece Aristotele fosse in questo stesso bar ci rimproverebbe: il risultato va perseguito solo con virtù, col bel gioco. Ma attenzione, bisogna applicare il “giusto mezzo”: né attacco totale né difesa a oltranza, meglio un buon tiki-taka a centrocampo. A proposito di tiki-taka, chi non ha mai provato piacere nel vedere il Barcellona giocare? Epicuro sarebbe fiero di noi, visto che ripone nel piacere il fine della propria vita. E chi non ha il classico amico che mentre vede la partita analizza ogni mossa tecnico-tattica dei vari Allegri e Sousa? “Ciò che sta dietro alla partita è ancora più importante della partita stessa”, gli sentiamo dire. Ecco, possiamo dargli del kantiano senza timore che si offenda. Infatti per il filosofo bisogna distinguere le cose dalla loro reale essenza – la cosa in sé -, senza confonderli. Il problema è che per Kant questa essenza era inconoscibile, con buona pace del nostro amico tatticomane. E se possiamo paragonare chi ha difficoltà di scelta – troppe partite in contemporanea! – a Kierkegaard, non è raro trovare al nostro bar un seguace di Nietzsche. “Il calcio è fatto di cicli, ci sono annate fortunate e altre meno, ma tutto torna indietro”. Più o meno è la speranza dei milanisti, ansiosi di tornare a dominare in Europa, ma Nietzsche sarebbe stato d’accordo. Risponderebbe che l“eterno ritorno dell’uguale” è una sua idea, e che bisogna solo aspettare e avere pazienza. Forse mille-duemila anni, ma che importa? Guardare una partita con accanto un hegeliano va più o meno così: gli piacciono tutti quei giocatori che sono sintesi di due modi di giocare opposti, ma complementari. I centrocampisti box-to-box, per esempio: Hegel impazzirebbe per un Pogba o uno Yaya Tourè. E direbbe che sono il mix di due aspetti apparentemente contraddittori: l’attacco e la difesa. E così via, nel nostro bar, fra sorrisi e licenze letterarie. E se è vero che i tifosi sono un po’ tutti filosofi, è vero anche il contrario: molti filosofi sono stati amanti del calcio. Camus era un gran portiere, mentre Sartre riteneva che il calcio fosse una metafora della vita. Merleau-Ponty per spiegare un concetto fece un esempio con un calciatore, e Derrida si dilettava a fare il centravanti. Ma fu Heidegger uno dei più calciofili: da ragazzo fu una discreta ala sinistra, e col passare degli anni si appassionò molto di sport. Visitava il suo vicino di casa per guardare le partite di Coppa dei Campioni e rimaneva incollato davanti alla tv. Durante la leggendaria gara di spareggio della Coppa dei Campioni del 1961 fra Barcellona e Amburgo, si raggiunse il culmine: dall’eccitazione gli cadde la tazzina del caffè. Il giocatore preferito di Heidegger era Beckenbauer: quando lo vedeva giocare, impazziva. Forse perché nel Kaiser vedeva rappresentati l’ “esser-ci” della sua filosofia? Sta di fatto che un giorno il direttore del teatro di Friburgo lo incontrò sul treno. Voleva parlare di letteratura, ma Heidegger aveva appena visto una partita di Beckenbauer, e passò tutto il viaggio a esaltare la sua fisicità e il suo tocco di palla, lasciando di stucco il direttore del teatro. Chissà; se incontrassimo Heidegger al bar, cosa direbbe? A cura di Luca Mastrorilli


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