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Cagliari, cosa rimane del mito di Gigi Riva? La storia di “rombo di tuono”. Foto

“Piuttosto sto fermo un anno, ma lì non ci vado”. A pronunciare questa frase fu, nel 1963, un ragazzino di Leggiuno, dotato di un grande talento e un sinistro devastante. Quel “lì” era riferito a Cagliari e quel ragazzo era colui che poi ne è diventato il re, Gigi Riva. Nato il 7 novembre del 1944, Riva, oggi settantatre candeline, non passa un’infanzia felice. A nove anni rimane orfano del padre, vittima di un incidente sul lavoro, e deve subire il distacco dalla madre e dalla sorella, che preferiscono mandare “Luigino” in collegio. “Diventare un calciatore professionista era già un sogno che coltivavo ventiquattro ore su ventiquattro. In collegio più che studiare facevo le formazioni per l’intervallo, quando tutti andavamo a giocare…”. Già una fissa quel pallone.

A 18 anni la chiamata dall’isola, allora famosa per i banditi e per i pastori. Riva non ci sta, si oppone. Era la stellina delle giovanili del Legnano e già si diceva un gran bene di lui. Alla fine accetta, a malincuore, convinto dalla sorella Fausta, che gli fa anche da madre, dato che anche la mamma vera se ne va via presto, lasciandoli orfani. L’impatto con Cagliari non è dei più felici: “Luci soffuse, pista quasi buia, il deserto. Sembrava l’Africa…”. Anche i tifosi cagliaritani, un po’ per carattere, un po’ perché ancora non aveva dimostrato nulla, all’inizio sono diffidenti. Poi una doppietta al Napoli cambia tutto. La maglia numero 11, numero scelto in onore del suo idolo, l’attaccante interista Skoglund, diventa sua, per sempre. Nel 2005 il Cagliari la ritira in suo onore.


Gli anni passano e Riva diventa il re di Cagliari. Rifiuta le offerte di Inter e Juve, disposte a scucire fino a un miliardo, cifra pazzesca per l’epoca, pur di averlo. Lui sceglie di diventare “pecoraio” a vita e in quel momento diventa eroe per il popolo sardo, che tuttora lo adora. Ma diventa anche un simbolo per il calcio italiano. Nei paesi accanto all’immagine della Madonna c’è la foto di “Giggi Rivva”. L’isola gli dà quell’affetto del quale troppo presto è stato privato, diventa la sua vera famiglia. Premiare la sua scelta di cuore è quasi un obbligo. E poi, perché sprecare il suo enorme talento? Quando ricapiterà un giocatore come lui a Cagliari? La società decide di costruirgli attorno, pezzo per pezzo, uno squadrone. Nel campionato 1969-1970 l’impresa, che quasi sfuma sul più bello, in quel Juventus-Cagliari.

Lo stesso Riva ha descritto ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com le emozioni vissute in quel match cruciale: “Era la partita decisiva per lo scudetto e quando quel rigore fu dato e Albertosi lo parò, e l’arbitro lo fece ripetere, pensammo tutti che Lo Bello fosse di parte. Invece, subito dopo, per un fallo in area di Salvadore su di me diede il rigore anche a noi. Quella rete ci permise di andare sul 2 a 2 e praticamente di vincere lo scudetto. Emozioni? Difficile descriverle a parole, bisognerebbe viverle per capirne veramente il significato. Un anno di sacrifici tutti riassunti in quei minuti e poi la gioia di rendersi conto che il pareggio a Torino significava scudetto”. Forse è questo il momento in cui Riva scopre veramente cosa significa essere sardi. Una terra che ha saputo cavarsela da sola, che tra tante difficoltà e ingiustizie ha sempre saputo vincere il suo “scudetto”, andando avanti con orgoglio e testardaggine, proprio come lui.

Qualche mese dopo Gianni Brera, durante un Inter-Cagliari del 25 ottobre del 1970, concluso con una vittoria dei sardi grazie a una doppietta di Riva, lo ribattezza “Rombo di tuono”, nomignolo che gli rimarrà per sempre. Cosa rimane oggi del mito di Gigi Riva? Sarebbe facile rispondere il record di gol in maglia azzurra, 35 in 42 partite o la frase che ancora oggi i giocatori del Cagliari portano nella maglia “Campioni d’Italia 1970”. Oppure ciò che rimane dell’Amsicora, l’arena in cui il gladiatore di Leggiuno ha disputato la maggior parte delle sue battaglie, o ancora il centro di coordinamento, vero tempio, ricco di cimeli e foto che raccontano un pezzo di storia del calcio italiano.

Ciò che rimane veramente di Riva è l’esempio. Riva ha capito perché a un certo punto ci si trova davanti alla triste decisione di abbandonare la Sardegna. Ma la sua voglia di non arrendersi di fronte alle ingiustizie, di caricarsi nelle difficoltà, di ribellarsi, lo ha spinto a rimanere e a vincere. Riva ha scoperto cosa significhi il vero affetto e quanto, paradossalmente, sia difficile lasciare l’isola. Questo grande esempio, a prescindere dalle generazioni, è un motivo in più, quando lo si incrocia per strada in Via Dante, con il suo cappotto e gli occhiali scuri, per sorridergli e stringergli la mano. Auguri Gigi.