Brera sbarca in Mongolia, il calcio italiano a -30°: “Ci alleniamo sulla neve”
Gabriele Ragnini 4 Marzo 2024Matteo Ortolani, capitano del Brera Ilch, racconta il calcio a Ulan Bator: dagli allenamenti sulla neve alla cultura della Mongolia

Con l’aiuto di Goran Pandev, presente nel Cda, la prima Brera all’estero è nata in Macedonia del Nord. Poi il Mozambico e adesso la Mongolia, dove la stagione della Premier League – la massima divisione – è ripartita il 2 marzo con il girone di ritorno. “Qui hanno un bel progetto, mi hanno dato tante responsabilità. La distanza non mi ha mai spaventato”: Ortolani si mostra soddisfatto, freme dalla voglia di giocare a calcio nel nuovo continente. “Stiamo portando sponsor e ci poniamo come obiettivo quello di far parte della Champions League asiatica. Lo sport è completamente diverso. Sono molto militari: qualsiasi cosa gli dici la fanno bene”.

Spetterà all’allenatore milanese Andrea Mazza portare ordine in un mondo con pochi riferimenti tattici. “Giocherò con un altro italiano, quattro argentini e un giapponese – continua Ortolani. Per il resto sono tutti mongoli e corrono tantissimo. C’è molta intensità, però gli spazi sono troppi. I primi giorni mi sono sorpreso: i giocatori non si erano mai allenati senza palla”. Ma anche per lui ci sono nuovi aspetti da affrontare. “Giocheremo al chiuso, al momento le temperature sono troppo basse. Le strutture sono molto moderne, non me lo aspettavo. A volte usciamo e ci alleniamo sulla neve, correndo in salita. Non sento la fatica o il gelo: i paesaggi sono fiabeschi, da film, con colline e montagne innevate”.

Matteo è proiettato verso l’inizio del girone di ritorno e i prossimi mesi in Mongolia, “ma l’obiettivo è l’America”. Nonostante sia appena arrivato, ha già un progetto personale a lungo termine, che viaggia di pari passo con il club. “Il marchio sta arrivando anche negli Stati Uniti. Mi hanno sempre affascinato e i dirigenti lo sanno. Però è qui che voglio conquistare la loro fiducia e dobbiamo pensare a rimetterci in corsa”. La rivoluzione targata Brera ha già iniziato a stravolgere la città. “I media ci seguono di continuo, è una novità assoluta. Qui lo sport principale è il basket, hanno palazzetti che sembrano fatti per l’Nba. Eppure questo cambiamento italiano ha già portato tifosi che ci hanno accolto benissimo. Dovremo risollevare la squadra, siamo penultimi”. Anche le sue abitudini sono state stravolte del tutto. “La sera in giro non c’è nessuno, sono tutti chiusi nei bar a 40 gradi. Per il freddo bevono qualsiasi cosa, soprattutto alcolici. Me ne offrono di continuo, ma sono molto attento all’alimentazione”. E anche diffidente: “Sì, è vero. Non mangio tutto: il cibo locale è speziato, fatto soprattutto di noodle e zuppe. Per caso sul rooftop di un grattacielo ho trovato uno chef toscano, quindi vado da lui, preferisco mangiare italiano”.

La cucina mongola non ha convinto del tutto Matteo, ma il resto delle tradizioni e degli usi di Ulan Bator sembra avere avuto già un forte impatto. “La città è in crescita, investono molto. Però se esci dal centro trovi povertà. Tanti nomadi vivono nelle iurte sulla neve, in periferia. Sono tutte automunite e belle da vedere, molti fotografi si recano in quelle zone perché sono scenografiche”. Eppure sotto quelle tende di acciaio si nasconde il lato più umano di questa nuova esperienza. “Chi vive lì è sempre ospitale e sorridente. Ti fa capire che noi ci lamentiamo troppo spesso, anche se non ci manca niente. Loro soffrono il freddo, ma ti trasmettono valori che vanno al di là di tutto”. Per impararlo è dovuto andare dall’altra parte del mondo. “E’ la lezione più importante che porterò con me. Solo viaggiando puoi aprire la mente”. Anche con il freddo di Ulan Bator, Matteo ha trovato il calore che cercava.