6 luglio 2020. Il Siviglia giocava e vinceva 1-0 con l’Eibar. Con la scomparsa degli spettatori, la posizione di Yassine Bonou era cambiata — stava in tribuna — ma il ruolo era sempre lo stesso: secondo portiere, anche quando si infortunò il collega Vaclik. Erano gli ultimi minuti, i cambi erano finiti e i guantoni se li dovette infilare Ocampos. Un attaccante, che si rintanò in porta e nell’ultimo minuto si trovò a salvare il risultato sul tiro… di un portiere, Dmitrovic.
Passati circa nove mesi, la situazione si è ribaltata. Sabato, contro il Valladolid, Bonou era in campo, mentre Vaclik sedeva in panchina. E, al 94’, quando questa volta era il Siviglia ad aver bisogno di un eroe per riprendere una sconfitta che sembrava certa, è stato lui a volare in avanti e insaccare, con la decisione dell’attaccante senza scrupoli, un sinistro all’angolino. 1-1. Una giocata stranamente simile a quella non conclusa da Dmitrovic, solo che lui ha esultato. Eccome.
Bonou è diventato il supereroe che il Siviglia aveva senza esserne cosciente. Però non da ieri, ma proprio da quella partita con l’Eibar. Perché quel giorno rimase in panchina a vedere il proprio attaccante parare al posto suo, ma dalla giornata dopo fu lui a dover sostituire Vaclik. E da lì, il posto non l’ha perso più. Anzi, è stato decisivo per la vittoriosa campagna in Europa League ed è velocemente diventato uno dei migliori portieri della Liga. A 29 anni. L’arte di saper aspettare il proprio momento, in silenzio.
Nome d’arte? Bono
Yassine Bonou, sì, non è un errore di battitura. Perché è nato in Canada, nel 1991 a Montreal, da genitori marocchini, che poi lo porteranno da piccolissimo a Casablanca. È proprio lì, nelle giovanili del Wydad, che cresce calcisticamente, nonostante al padre non faccia tanto piacere che perda tempo col pallone.
Fino alla chiamata dell’Atlético B. All’arrivo in Spagna, Paese dove le lingue straniere non sono proprio parlatissime, è andata più o meno così: “Com’è che ti chiami?”. “Bonou”. “Ah, Bono, benvenuto”. Con i colchoneros è rimasto solo due anni, ma da quel momento lì per tutti è rimasto Bono. Anche sulle maglie. Tutte, tranne una: quella della nazionale marocchina. Almeno lì il nome non lo “sbagliano”. Nel 2014, senza aver mai esordito con l’Atleti dei grandi, viene mandato in prestito al Zaragoza. Lì ci rimane fino al 2016, quando verrà preso a titolo definitivo dal Girona. In Catalogna fa il titolare per un anno in Segunda, e poi per due anni in Liga. Nel secondo la squadra retrocede, e lui chiede di poter andare in una grande.
Se l’è guadagnato. E la grande la trova: lo prende in prestito il Siviglia, ma per dargli il ruolo di secondo. Allenarsi al massimo ogni giorno per finire sempre in panchina: non è una bella vita. Bono, allora, si trova ad imparare ad aspettare, in silenzio, e fa amicizia con i seggiolini della panchina, prima, e della tribuna, poi. Il resto della storia lo conosciamo già.
L’altro Bono, il frontman degli U2 che il suono nome d’arte l’ha scelto, canta “Non ho ancora trovato quello che sto cercando”. Bono, il frontman del Siviglia, invece, l’ha trovato: un’occasione. Da quando l’ha avuta, i pali di quella grande squadra che sognava non glieli ha tolti più nessuno. E il Siviglia l’ha anche riscattato. Giustamente: dove lo trovi un altro supereroe così? Che segna, fra l’altro, anche se quella è solo l’ultima delle sue grandi imprese.