Boca, 115 anni in un idolo. Palermo: “Da Maradona ai gol, la mia storia da film”
El Titán si racconta in esclusiva per il compleanno del club: “Io e il Boca una cosa sola, in passato vicinissimo a Lazio e Napoli”
Per troppi anni Martín Palermo è stato l’uomo che sbagliò tre rigori in una sola gara. 4 luglio 1999, Copa America, Argentina-Colombia 0-3. “A volte le persone ricordano più un solo momento negativo che tutto quello di buono conseguito in una carriera”, racconta "El Titan" a gianlucadimarzio.com.
Oggi Palermo ha 46 anni e non gioca più da nove, ha messo da parte i tanti gol per fare l'allenatore: "Esigo molto da me stesso".
La sua storia sembra un romanzo di Osvaldo Soriano, scrittore argentino, invece è tutto vero. Lo hanno definito Loco, etichettato come folle, ma in realtà Palermo è un tipo saggio e razionale. Lo capiamo dalle sue parole. In Argentina, poi, gli hanno dedicato persino un docufilm chiamato "El Titan", il soprannome di sempre.
Ha segnato in tutti i modi: appeso alla traversa, di testa da quaranta metri, dalla propria metà campo, con un ginocchio rotto, scivolando sul dischetto e calciando con entrambi i piedi. “Tutti significativi per diversi momenti della mia carriera, oltre che per averli vissuti e condivisi con la gente”. Iniziò a buttarla dentro già da bambino, all’Estudiantes, 54 reti in un solo torneo. Poi il suo primo mister, Alfredo Garcia, capì di aver di fronte un bomber e lo tolse dalla porta.
COME UN FILM
"Questo ragazzo è troppo goffo", dicevano. "È buono solo per tagliare l'erba del campo", assicuravano. Niente di vero. Tre gravi infortuni non lo hanno fermato. E in una carriera così, neanche lo stop è mai stato normale: il centesimo gol in carriera lo segna nel ’99 al Colon de Santa Fe, con un legamento a pezzi. Due anni dopo, passato in Spagna, per esultare coi tifosi del Villarreal, il muretto di un cartellone pubblicitario gli frana addosso fratturandogli tibia e perone.
“Momenti duri. L’Europa era il mio sogno, eppure in un colpo solo dovevo ripartire da zero e rivedere tutte le mie aspettative. Sono esperienze che mi hanno fatto guardare avanti, dandomi la forza per non mollare”. Figlio di un sindacalista, ha applicato al calcio la lotta di classe. 236 reti dopo è diventato Titán, il miglior marcatore della storia del Boca Juniors, che oggi festeggia il suo 115esimo anniversario. “Una squadra che genera grandi emozioni, una tifoseria speciale”.
In mezzo “due opportunità di giocare in Italia con Lazio e Napoli” ma soprattutto dieci anni di esilio dall’Albiceleste dopo quei tre rigori falliti. Poi in panchina è arrivato Maradona, lo stesso che lo aveva portato al Boca: “Diego mi ha aiutato in ogni momento e io ho sempre cercato di ripagarlo nel miglior modo possibile”.
Soprattutto nel 2009. Quando Palermo, sotto una pioggia torrenziale, nella casa del River Plate, segna nel recupero il gol decisivo al Perù che vale due biglietti per il Mondiale in Sudafrica. Dove Martín gira un’altra scena nel film della sua vita, contro la Grecia nei gironi, diventando a 36 anni da debuttante in una Coppa del Mondo il marcatore argentino più anziano in un Mondiale.
EROE DEL BOCA
Se chiedete a Buenos Aires di Martín Palermo vi diranno che quanto fatto con il Boca non si scorda in un’intera vita. Due spezzoni per entrare nel cuore dei tifosi, dal 1997 al 2000 e dal 2004 al 2011: “In ogni partita la Bombonera ci dava un’adrenalina incredibile. I tifosi hanno una passione e un’euforia in grado di superare quelle di qualsiasi altro sostenitore di un’altra squadra. Nel giorno dell’anniversario non posso che augurare loro i migliori successi”.
Con gli Xeneizes San Martín è passato dall’essere un attaccante senza spiccate doti tecniche a esser ricordato in America Latina come il nove della storia. Un centravanti epico: “Il Boca Juniors è stato il luogo dove il destino ha deciso esplodessero le mie qualità di giocatore: tutto quello che ho fatto e ottenuto per qualche motivo doveva essere con quella maglia. E questa credo sia la cosa più soddisfacente per una persona che cerca di raggiungere quegli obiettivi".
Il 13 giugno 2011, il giorno della despedida al Boca, all’Estadio Alberto José Armando piansero proprio tutti, bambini e anziani: “Giocare la mia ultima partita davanti a tutta quella gente è stata un’emozione pura. Quel giorno mi sono passate per la testa moltissime immagini. Da un lato sentivo che tutto quello che avevo vissuto stava per terminare, ma che allo stesso tempo quei ricordi li avrei conservati sempre nel mio cuore e che nessuno avrebbe potuto cancellarli. È stato un addio, però con la consapevolezza che tutto quello che il Boca mi ha dato lo avrei portato con me”. Come quella porta regalatagli dai tifosi e ancora oggi conservata nel Museo de la Pasión Boquense, il museo ufficiale del club.
PALERMO E MARADONA
Carlos Bianchi, vero e proprio padre calcistico (lo stesso che a Roma voleva mandare via Totti), amava definirlo Optimista del Gol per quella sua sensazionale forza mentale. Palermo sembrava predestinato, per uno strano scherzo del destino, alle grandi imprese. Alcuni gol, ci racconta, le persone ancora li evocano quando lo incontrano per strada: “Su tutti la doppietta in sei minuti al Real Madrid in Intercontinentale nel 2000 e i gol con la Selección contro Perù e Grecia”.
Per dieci anni Palermo ha portato sulle spalle il peso di quegli errori dal dischetto con la Colombia: “Questo rimarrà sempre. Ho avuto la sfortuna di doverlo vivere sul campo ed è stata molto dura, però nella mia carriera sono state ben di più le cose positive rispetto a quel singolo episodio. Ormai quella notte è superata”. Palermo ha aspettato dieci anni per riveder le stelle, dopo l'ostracismo: “Maradona ci credeva e mi ha dato un’occasione sul finale della carriera”.
D’altronde che il fato avesse in serbo per i due un rapporto speciale si era intuito quando nel 1997 l’attaccante de La Plata decise il suo primo Superclásico, l’ultimo giocato dal Pibe de Oro: “Fu lui a fare da tramite per il mio passaggio al Boca Juniors. Gli sono davvero grato per avermi incluso nella sua vita".
VICINO ALLA SERIE A
Argentino di sangue italiano: “Ho un bisnonno siciliano dalla parte di mio padre, purtroppo non l’ho mai conosciuto”. Nel nostro paese non ha mai giocato. Due occasioni c’erano state: “Una con la Lazio di Cragnotti nel 1999, proprio quando mi infortunai per la prima volta. Tempo dopo c’è stato anche il Napoli, ma non si riuscì a chiudere la trattativa e passai al Villarreal”. Oggi la Serie A la guarda da spettatore: “Competitiva e tattica, ci sono grandi giocatori”.
Come i connazionali Higuain e Lautaro Martínez: “Gonzalo ha una grandissima esperienza in Europa, ha già dimostrato quello che doveva. All’Inter anche Lautaro sta emergendo, ha le caratteristiche di un goleador che può giocare in qualsiasi campionato di prima fascia. L'Argentina è un esempio in fatti di attaccanti.
Al Bologna c’è invece Palacio, insieme negli anni Duemila hanno formato una super coppia al Boca: “Siamo in contatto, sono contento che alla sua età possa fare ancora così bene. Ha una carriera importante in Italia, soprattutto con l’Inter, e solo lui sa quando sarà il momento per dire basta. Ora deve godersela…".
PALERMO ALLENATORE
Intanto anche l’Argentina è in quarantena, alle prese con la pandemia che ha sconvolto il mondo: “Andare avanti giorno per giorno è complicato, bisogna fare uno sforzo importante per la propria famiglia e le altre persone. Questa situazione ti umanizza e fa riflettere sul futuro”. La speranza è di tornare al più presto a fare quello che oggi ama, l’allenatore.
Palermo ha diretto in Argentina Godoy Cruz e Arsenal de Sarandí, l’Unión Española in Cile e il Pachuca in Messico fino al novembre scorso. Dopo quindici titoli da giocatore, ora insegue nuovi successi dalla panchina: “Adattarsi alla nuova veste non è facile, è un salto molto grande. Esigo molto da me stesso, questo aspetto cerco di trasmetterlo ai giocatori. Le mie squadre devono essere ambiziose di protagonismo”.
Quello che spera di tornare ad acquisire anche la Nazionale di Scaloni: “Per vincere non bastano gli attaccanti, serve una struttura ben precisa, un gruppo che come sta accadendo sposi la filosofia del tecnico. Anche Messi deve integrarsi con la squadra: la Selección ha uomini e un’idea tattica distinta dal Barcellona, non si può pensare che faccia lo stesso con l’Argentina. Va cercato il piano perfetto per le sue potenzialità”. Chissà che un giorno non lo trovi proprio Palermo.
di Gabriele Candelori