L’espressione in reazione alla notizia è quella che lo ha sempre meglio contraddistinto. Inattesa, per un certo tempo impronosticabile, ora terribilmente vera: sopracciglio alzato, quasi a dipingere un volto stranito, destinato però a ricollegarsi e trasformarsi a chi, di quella maschera facciale, ha ormai sostanzialmente ormai fatto usanza e must. Se dovessimo descrivere iconicamente l’arrivo in panchina di Carlo Ancelotti al Napoli, fulmine in un cielo ormai non più azzurro tra De Laurentiis e Sarri, finiremmo per farlo con un’emoticon: aggiornamento software di un’estate di rivoluzione, a Castel Volturno, che dopo tre lunghe stagioni vedrà il cuore del popolo napoletano oggetto di ri-conquista. Per chi del dominio, da Carlo Magno, ha fatto arma e usanza principale in una carriera con pochi eguali.
Dalla sigaretta Sarriana ad un'espressione stranita: la tastiera del telefono di De Laurentiis, tra i tanti dubbi del suo (ormai) ex allenatore, ha finito per vedere l’emoji Ancelottiana per eccellenza al primo posto tra quelle usate più frequentemente. Ripartirà da un vulcano di emozioni, Carletto: convinto da un progetto nuovo, dalla voglia di tornare ad allenare un club in Italia, andato oltre quella convinzione di poter sedere, in Serie A, solo sulle panchine di Milan o Roma. E proprio lì, nella città in cui è stato protagonista per 8 anni da calciatore giallorosso, Ancelotti ha stravolto quella logica autoimpostata sul suo destino: l’ipotesi Nazionale prima, definitivamente accantonata nonostante l’incontro con i vertici federali, la scelta verso una tinta d’azzurro più chiaro poi. Accettando per almeno tre anni una sfida tanto complessa quanto intrigante, da unico allenatore capace di vincere i campionati di Italia, Inghilterra, Francia e Germania, provando a trasformare in realtà il “sogno nel cuore” di un popolo intero.
Tornerà in Italia da Re sempre più titolato, 9 anni dopo quel Fiorentina-Milan che aveva segnato l’addio al calcio di Maldini: ad accompagnarlo, in un mondo totalmente nuovo, le certezze appartenenti al suo staff (il figlio Davide in prima linea) pronte ad unirsi a parte di quello precedente, oltre alle evidenti garanzie della proprietà per provare a costruire e raggiungere qualcosa di importante. E’ sempre stato vago, Carlo, sul suo futuro: glissare su ogni voce che lo accostava all’Arsenal, su ogni ipotesi che avrebbe fatto di lui l’uomo da cui una nazione calcistica intera, dopo il disastro contro la Svezia, sarebbe ripartita. E rispetto al solito, in questa occasione, ha deciso di stupire: nessun tetto d’Europa dal quale guardare tutti, dopo le annate da preferisco la Coppa tra Milano e Madrid, ma la voglia di rimettersi in discussione dopo mesi di pausa e quiete, spesi anche nella sua Reggiolo. Cancellando le ultime tracce dell’esonero dalla panchina del Bayern, spinto dal malcontento dei senatori, per tentare un’impresa ormai lontana quasi 30 anni.
Pragmatismo ed esperienza come prime qualità-chiave da regalare alla sua nuova squadra: caratteristiche che il Napoli di Sarri ha solo in parte avuto, imperniato su un concetto di gioco rivoluzionario portato dal proprio allenatore, cadendo nei momenti topici delle continue volate scudetto perse a qualche metro dal traguardo. I primi due messaggi di presentazione di Ancelotti, nella nuova chat di squadra, saranno sostanzialmente questi: recepiti da chi è pronto a ripartire da un nuovo corso, letti di sfuggita da è chi potrebbe salutare o ha ormai svuotato l’armadietto, pronto ad abbandonare. Non ci sarà Pepe Reina, curiosamente incrociato nella finale di Champions ad Atene, diretto al “suo” Milan e del quale Carletto potrebbe ereditare casa a Posillipo; forse neppure Marek Hamsik, e chissà se ci ripenserà: uno che di Ancelotti ha letto e riletto l’autobiografia nei ritiri spesi a Dimaro, apprezzandone soprattutto le calme (ma forti) qualità e modi caratteriali, e che Carletto in rossonero avrebbe voluto anni fa. Allora, fu questione di cuore: ora, dopo una vita spesa da Capitano azzurro, di semplici stimoli. Persi, ritrovabili o da ricercare altrove.
Innegabile insomma, per chiunque: vederlo su quella panchina, alla guida di una squadra che vive di una passione alle spalle forse senza eguali, sarà certamente strano. Lui, leader calmo che nell’approccio soft trova la sua forza, mantenendo quell’umiltà mai persa anche nel presentarsi ai suoi nuovi, calorosissimi tifosi: “Grazie della fiducia” detto da chi, da allenatore, ha sollevato qualcosa come 20 trofei. Questione di razionalità di fronte all’impulso, in un mondo napoletano già innamorato di lui tra messaggi e nickname appositi creati sui social: la realtà, al di là di ogni aspettativa o meno, ci ha regalato una bella novità. E un graditissimo ritorno, 9 anni dopo quell’ultima volta a Firenze: con qualche capello bianco in più, una fortissima voglia di rimettersi in gioco e quel sopracciglio, come da consuetudine, alzato. Rieditato oggi sottoforma di emoticon: la più utilizzata sulla tastiera di De Laurentiis, nel nuovo aggiornamento in casa Napoli, e presto destinata a spopolare anche tra il tifo napoletano. Allegata ad un doveroso messaggio: benvenuto, Carlo. Anzi: bentornato.