Novantatrè. Il romanzo di Vitor Hugo e non solo. 93', la durata di El Numero Nueve il docu-film su Batistuta. L'hanno visto a Roma, ma Gabriel la prima l'avrebbe voluta a Firenze. La sua casa per quasi dieci anni. Dove sono nati i suoi figli, dove per un mese a tavola si sedeva solo se c'era la minestra, perché la pasta al dente proprio non gli andava giù.
Ha riempito il Tuscany Hall come faceva con il Franchi: "Batigol", canta la gente. Non è la Fiesole, ma la platea di un teatro. Nessuna differenza, Gabriel entra sul palco, sorride e alza la stampella per dire grazie. Si è operato da poco alla caviglia. Il calcio lo ha fatto soffrire. Ha urlato dal dolore, ha chiesto perfino l'amputazione della gambe: "Ma ne è valsa la pena", lo dice sempre quando torna a Firenze.
Ora sta meglio, ai piedi ha le sue solite scarpe da ginnastica: "Da vecchio comincio a dire quello che sento". Bati ha 50 anni, ma scherza con tutti. Anche con il regista Pablo Benedetti, con cui ha condiviso praticamente ogni giorno per due anni.
In prima fila anche Giancarlo Antognoni. Quando è arrivato, Gabriel sapeva che davanti a sé aveva uno con un Mondiale in bacheca. Oggi ci gioca a golf, ieri gli ha regalato Supercoppa e Coppa Italia. "Gianca" fa ancora il dirigente. I primi giorni italiani di Bati non sono stati semplici, lui gli ha sempre offerto una spalla su cui appoggiarsi nelle difficoltà.
A vedere il film c'era anche Toldo. Quanto lo ha fatto patire quel ragazzo argentino dai capelli lunghi. A fine allenamento non si scappava: "France, le hai portate le mani oggi?". E giù di punizioni. Sassate, queste erano.
Bati si guarda e sorride. Lui, ragazzo introverso che mai si sarebbe immaginato attore. Firenze, però, gli è entrata dentro. Il Piazzale, Palazzo Vecchio, la bistecca del Cambi e il Franchi. E i tifosi, che 20 anni dopo sono ancora lì: "Mi innamoro solo se vedo segnare Batistuta". Come se il tempo si fosse fermato. Per sempre.