“Caro Toro ti scrivo…”. Ricordi, nostalgia, speranze. C’è tutto nella speciale lettera di Mattia Aramu, centrocampista classe ’95 ora in prestito alla Pro Vercelli. C’è il destino, soprattutto, che lo ha legato in via indissolubile al colore granata, al Toro. In campo…e in astrologia! “Il Toro è anche il mio segno zodiacale. Ormai pure io seguo un po’ l’oroscopo, la mia ragazza è riuscita a contagiarmi”.
L’altro Toro, quello vero, invece, non lo ha contagiato. Lo ha letteralmente pervaso, dal momento in cui ha preso un pallone in mano per giocare sotto casa con gli amici di una vita. “La prima maglia che ho appeso in cameretta è stata quella di Roberto Muzzi. L’incipit di un amore che solo chi è dentro il Torino può capire…”. Difficile da spiegare, parliamo allora con il linguaggio più immediato e proprio per questo più efficace: quello delle immagini. “Superga, il 4 maggio. Una delle emozioni più grandi della mia vita, le gambe mi tremavano. E poi un’altra…”. Che non è propriamente un’immagine, ma va bene lo stesso… “Quando ero più piccolo – racconta Aramu ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – mi voleva la Juventus, ma io dissi no, decisi di restare qui perché la mia vita è legata al Torino. Ho ventuno anni, quindici li ha trascorsi nel settore giovanile granata”.
Gli allenamenti con Ventura e Mihajlovic, la grande amicizia con Zappacosta e quel consiglio di Belotti. Ricordi, emozioni che Aramu custodisce gelosamente nella parte più recondita del proprio cuore: perché quando si ama davvero, ogni cosa – anche magari quella più insignificante – diventa unica. E, allora, va preservata, amata…ricordata! “Belo mi ha detto una cosa che non scorderò mai, ‘ Matte non ti preoccupare che ci son passato anche io a Palermo. Continua a lavorare così e vedrai che andrai avanti come ho fatto io’. Perché ci tenevo a giocare, a far bene per tutto quello che il Toro rappresenta per me. Seguo il suo consiglio, fino a fine stagione penso alla Pro Vercelli, poi torno lì più voglioso che mai”. L’importante è non smettere di sognare. Perché sognare non significa – sempre – illudersi. Il sogno può spingerti a tirar fuori una forza nascosta, che nemmeno noi stessi pensiamo di avere, affinché quello stesso vada trasformandosi in realtà. D’altronde, siamo noi i padroni del nostro destino. Siamo noi i capitani del nostro domani. Nulla può scalfire o arrivare a toccare le nostre aspirazioni: basta crederci. “Il mio sogno è quello, almeno una volta nella vita, di varcare la porta del Fila…”.
Un tipo molto tranquillo, Aramu, di quelli vivi e lascia vivere. In campo e a casa anche se ogni tanto, soprattutto in estate, una sfida a pallone con papà, ex calciatore, ci scappa… “Due sfide a dir la verità: una con la palla e una per che cosa vedere in tv. Anche papà era centrocampista, mi segue ovunque. Ma io sono più forte (ride), d’estate partite a calcetto cinque contro cinque. Generalmente gli faccio qualche tunnel, lui poi mi lascia una bella legnata…”. E per la tv? “Lotta accesa eh! Lui vuole vedere i thriller, mamma i film romantici e mio fratello quelli comici. Io faccio da giudice di pace”. Cassazione Aramu: sentenza inappellabile.
Calcio e paddle. Qui arrivano le dolenti noti… le sfide estive, stagione nella quale il nostro protagonista è estremamente impegnato: “Il paddle lo ha messo in testa Peppe Vives, è diventata una malattia. Menomale che le racchette sono più consistenti di quelle tradizionali sennò ne avrei spaccate una ventina…”. Problemi di coppia? “Facciamo io e Vives contro Rossettini e Moretti…ci fosse una volta che siamo riusciti a vincere! Morale della favola, ci è toccato sempre pagare il campo, ma dai eravamo alle prime armi”.
Il paddle quale presagio, positivo certamente. Vives-Aramu, di nuovo insieme a gennaio… “Sì, ma a Vercelli non ci sono i campi per giocare”. Poi Longo e Bianchi, un cuore Toro che si perpetua… “Siamo un bel gruppo. Giocare lì davanti, insieme a Rolando, è il massimo per me. Non solo perché mi aiuta un sacco, ma anche perché lui ha fatto la storia del Torino, è un simbolo unico”. Unico come anche i riti scaramantici, dinanzi ai quali Aramu è assolutamente categorico: si mette il parastinco destro, poi il resto del vestiario. E il giorno prima della partita è tassativa la partita a Burraco. “Prima dell’infortunio di Mammarella facevamo io e lui contro Comi e Legati. Ora l’ho sostituito con Altobelli, lo voglio vedere alla prossima trasferta…”.
Infine, un pensiero particolare… “Sul fianco mi sono tatuato una frase per mio nonno che non c’è più. ‘Sarò sempre con te. Matte’. Ogni gol che faccio è per lui…”. Il timido sorriso da bravo ragazzo e quell’importante impronta d’umiltà, dalla quale si evince un’educazione forte, un attenzione peculiare ai valori autentici quali per l’appunto la famiglia. Qualcuno, più anziano, direbbe che Aramu è un ragazzo d’altri tempi. Oggi, forse, basta anche soltanto ripetere un’altra locuzione: Mattia, non smettere di sognare.