La Torre Milad è al centro di Teheran e da lì si vede tutto. Il Palazzo del Golestan e il traffico del Bazar, profumo di spezie e d’Oriente. Forse Andrea non è ancora salito in cima, ma se fosse lì, a 450 metri sopra le nuvole, punterebbe il binocolo verso Occidente. All'orizzonte ci sono Milano, San Siro, Moratti, l’indice verso i tifosi dopo un derby vinto: “E’ vostro!”. Istantanee da Stramaccioni.
A sud c’è l’Azadi, il suo nuovo stadio, 78mila posti da riempire. Nel ’79, quando Andrea aveva tre anni, il mondo guardava Teheran e la rivoluzione islamica con occhi attenti, preoccupati, mentre l’Ayatollah Khomeini rientrava dall’esilio e lo Shah Reza Pahlavi filava via come un fuggiasco negli Stati Uniti, cacciato dal popolo. Dalla torre si vede anche questo, storia e cultura di un paese ‘misterioso’, anche se oggi l’Italia guarda l’Iran e vede Andrea Stramaccioni allenare l’Esteghlal.
Quello dell’Inter e dell’Udinese, dei due derby vinti contro il Milan e di un ‘foglio fortunato’ su cui scrisse la formazione per Moratti, nel suo studio, prima di avere il via libera per allenare i nerazzurri. Ora avrà una nuova sfida a 4mila chilometri da casa. “I tifosi hanno una passione incredibile, il club ha una grande storia. Sono pronto per questa avventura, difficile ma al tempo stesso affascinante”. E da quella torre Andrea vedrà anche il Colosseo, la 'sua' Roma.
Il battesimo del fuoco è in un campetto al Nuovo Salario: “Che ricordi. Ho iniziato all’AZ Sport, l’ex presidente Carlo Di Clemente è stato il primo interlocutore della mia nuova vita da allenatore, dopo il sogno infranto di diventare calciatore”. Una storia nota. Stramaccioni gioca nel Bologna, il ginocchio fa crack e a 18 anni dice basta. Impossibile dimenticare: “Contro l’Empoli, al Castellani, a pochi minuti dalla fine mi rompo tutto quello che c’era da rompermi. Inizio un lungo calvario, mi opero diverse volte, ma dopo due stagioni smetto”.
Tre anni di silenzio, senza vedere una partita, poi il rientro da allenatore mentre studia giurisprudenza alla Sapienza: “Sono stato due anni a Montesacro, ho vinto il titolo provinciale e poi sono andato alla Romulea. I campi in terra, la gavetta, benedico tutto. Perché è solo partendo dal basso che avrai sempre la fame di arrivare”.
L'ORA DELL'IRAN
Stramaccioni ha scelto l’Iran e ci ha raccontato perché, riavvolgendo il nastro della sua vita e della sua carriera: “Sono un ragazzo semplice, amo il calcio, nel mio percorso sicuramente avrò fatto moltissimi errori ma grazie a ognuno di questi sono diventato un allenatore migliore”.
Il presente dice Esteghlal, un interprete per comunicare e la cultura di un paese da onorare: “Ci sono molte differenze con il mondo occidentale. La cultura dell’Iran discende dall’Impero Persiano, è di religione musulmana ma è diversa dal mondo arabo, forse più simile alla Turchia”.
Un po’ di storia: “È un paese che vive di enormi risorse interne, il quarto produttore al mondo di petrolio e il secondo di gas”. Passiamo al calcio, l’obiettivo è tornare a vincere, nel 2013 l’ultimo campionato vinto.
Presentazione da star con decine di giornalisti e l’ambasciatore italiano in Iran, Giuseppe Perrone: “Sono stato orgoglioso di vederlo al mio fianco, mi ha fatto capire quanto il calcio e lo sport siano veicolo di unione e aggregazione, senza limiti o confini. Essere un piccolo ambasciatore calcistico italiano in Iran mi motiva”.
GRAZIE ROMA
Un po’ come la laurea in giurisprudenza conseguita anni fa, con una tesi sulle società sportive quotate in borsa. Il caso della Roma di Franco Sensi, uno dei primi a credere in un ragazzino arrivato dal nulla, dopo la gavetta: “La dedicai a lui, quando entrai in facoltà trovai la sala piena di telecamere e fotografi. C’erano anche Rosella Sensi e sua madre, la signora Maria. Una bella sorpresa”.
Sei anni alla Roma, due titoli vinti: “Sono romano e romanista, cresciuto a San Giovanni, era un sogno essere lì. Sono stato selezionato nella Roma di Bruno Conti, Vito Scala e Totti. Romanità al 100%”.
Stramaccioni allena gli Allievi e ‘spia’ Spalletti in prima squadra: “Una volta mi si avvicina durante una partita e inizia a darmi consigli, a scherzare. È nato un grande rapporto, ancora oggi gli devo qualcosa. Grazie a lui ho imparato molto”.
Nel 2011 l’addio, impossibile non piangere: “Con l’arrivo della nuova proprietà, e soprattutto l’uscita della famiglia Sensi, stava cambiando qualcosa. Inoltre dopo 6 anni di settore giovanile volevo misurarmi con una 'primavera' e quindi presi questa decisione molto sofferta di lasciare. Andai a Trigoria per salutare tutti, non riuscii a trattenere le lacrime”.
LUCI A SAN SIRO
Capitolo Inter, 2012, fin qui il più importante. Il primo anno vince la NextGen Series - la Champions League dei giovani - e a marzo prende il posto di Ranieri a 36 anni: “Ricordo il primo allenamento alla Pinetina, qualcosa di indelebile, lo porterò sempre nel cuore”. Come il giorno in cui divenne allenatore dell’Inter, ricordato con un sorriso: “Moratti, suo figlio, Branca e Ausilio mi aspettavano nello studio. Il presidente aveva un blocco di carta e una penna, mi chiese di scrivere come avrei fatto giocare l’Inter. Si convinse così”.
Gli uomini di Strama: “Snejider, Milito, Zanetti, Julio Cesar, Maicon. Calciatori strepitosi, ragazzi fantastici, campioni che mi hanno aiutato a diventare un professionista. Ho un ottimo rapporto con ognuno di loro, ma anche con Stankovic, Chivu, Cambiasso, Samuel, Cordoba e tutti gli altri”.
Con Cassano amore e odio, un ottimo inizio e poi un pesante litigio alla Pinetina: “Non cambio la mia opinione tecnica su Antonio. Ha un talento incredibile, degno dei più forti giocatori del mondo, l’ho voluto fortemente all’Inter. Oggi ha una bellissima famiglia e mi dispiace che non giochi più, ma di tutto il resto non mi interessa parlarne”.
Meglio soffermarsi sull’Inter: “Le partite più belle sono state quella contro la Juventus all’Allianz (3-1 per i nerazzurri ndr) e i 2 derby. Resta l’amarezza per i moltissimi infortuni della seconda parte di stagione (il ginocchio Milito e Samuel, la caviglia di Stankovic e il tendine d’Achille di Zanetti), la sconfitta a San Siro contro la Lazio e la semifinale di Coppa Italia persa contro la Roma”. La ‘sua’.
Inter nona, Stramaccioni esonerato, un anno di stop e poi l’Udinese: “Abbiamo fatto un’ottima prima parte di campionato, a febbraio eravamo salvi”. I bianconeri battono Napoli, Inter, Milan e Lazio, poi crollano: “Probabilmente peccai di inesperienza, non riuscii a tenere sulla corda una squadra di giovani come volevo. Si sentivano già salvi e hanno abbassato l’asticella inconsciamente”. Una tappa formativa: “La famiglia Pozzo è un esempio mondiale di organizzazione, ho imparato moltissimo, e sono l’unico allenatore dal 2015 ad aver completato un’intera stagione all’Udinese”.
ABROAD, ATENE E PRAGA
Parola chiave: internazionale. Perché prima dell’Iran ci sono state Grecia e Repubblica Ceca, Panathinaikos e Sparta Praga. Partiamo dai primi, allenati due stagioni: “Arrivai dopo gli scontri nel derby tra tifosi e polizia, con relativa penalizzazione (3 punti). Eravamo quinti e finimmo secondi dietro l’inarrivabile Olympiacos di Silva”.
Non male: “La stagione seguente ancora meglio. Arrivano Ledesma, Mesto, Ibarbo e riportiamo la squadra ai gironi di Europa League dopo diverso tempo. A ottobre eravamo primi”. Poi la nota stonata che fa stridere il coro: “Purtroppo le difficoltà finanziarie del club e il blocco degli stipendi portarono allo smembramento della squadra. I 5-6 giocatori internazionali rescissero il contratto e a dicembre lasciai anch’io. Il secondo posto del 2016, comunque, resta il miglior piazzamento del Panathinaikos negli ultimi 9 anni di regular season. E l’Europa manca da molto”.
Da Atene a Praga, Stramaccioni ne parla per la prima volta: “Il progetto del club di internazionalizzare una squadra di matrice fortemente locale è stato un fallimento. Arrivammo io, lo staff e 10 giocatori stranieri. Di questi è rimasto solo Srdan Plavsic, voluto da me. In pochi mesi sono stati esonerati altri tre allenatori, per un totale di 7 in due stagioni. È un progetto naufragato all’origine, purtroppo mi rimprovero di non averlo saputo leggere per tempo, anche se nonostante tutto mi ha lasciato un bagaglio importante nel vivere una situazione ambientale molto difficile”.
Ora l’Iran, lontano dal Colosseo: “L’Italia è il mio paese e sarà sempre casa mia”. Come la Romulea: “Ho promesso al presidente Vito Vilella che prima o poi tornerò”. Andrea sorride, non ha rimpianti: “La mia carriera è stata incredibile, sono la persona più felice del mondo, e sai qual è la mia vittoria?”. Ascoltiamo: “Aver costruito una famiglia che mi ama e mi segue ovunque, perché dovunque andremo sarà sempre casa nostra. Io, Dalila, Elena e Giulio. Basta che siamo insieme”. Anche in cima a una torre, tanto da lì si vede tutto, e l’Italia sembra più vicina.