Cinque gol al primo anno con il Parma di Serie B come le cinque stagioni che ha vissuto, prima del Manchester City di Guardiola e della Masìa blaugrana, all’Espanyol. I “Periquitos”, che in italiano significa “uccellini”, sono stati letteralmente il suo nido, da cui poi è volato verso palcoscenici più importanti. Ma più la vita ti lega ad un posto, più sarà duro da sciogliere il nodo. Lo hanno testimoniato le lacrime del papà, che il giorno dell’addio, direzione Barça, non è riuscito a non emozionarsi. Ce lo ha raccontato ai microfoni di gianlucadimarzio.com Xavi Corominas, primo allenatore di Adrian Bernabé all’Espanyol, oggi sulla panchina degli under 19 del club.
Ma partiamo dal principio: Adrian era un bambino come tanti altri a cui piaceva giocare a pallone. Semplicemente gli veniva tutto molto più facile. A 7 anni faceva parte del CF Damm, piccola società catalana e grazie a David Fernandez, suo scopritore, l’Espanyol se lo era assicurato: “Si allenava già con noi ma era troppo piccolo per essere tesserato. Avevamo un accordo con la famiglia e appena è stato possibile è venuto da noi”.
Xavi, all’epoca, aveva 19 anni (oggi ne ha 35) ed era alla sua prima esperienza come allenatore: “Giocavo a calcio, stavo iniziando la mia carriera universitaria ed allenavo i bambini. Come calciatore ho visto che non c’era futuro, quando ero in panchina non riuscivo a stare seduto e da lì ho capito che mi sarebbe piaciuto fare l’allenatore. Ancora oggi penso che Adrian sia il giocatore che mi ha sorpreso di più tra tutti...”
Il taxi dell'Espanyol
“Adrian era l’unico bambino dei più piccoli a cui abbiamo messo a disposizione un trasporto: i genitori lavoravano e dovevano badare alla sorella più piccola e allora lo facevamo andare a prendere con un taxi per venire al campo di allenamento. Arrivava un po’ tardi perché il tassista doveva fare varie fermate, ma compensava il tempo perso fermandosi di più con i più grandi: era incredibile vederlo giocare con loro”.
La fascia con il 21 di Dani Jarque...
Un altro livello, un’altra mentalità che ha sorpreso tutti fin da subito: “Fin da subito si è mostrato un bambino molto educato e i compagni lo vedevano come un leader e ogni anno veniva votato come capitano. E nell’Espanyol è molto importante indossare la fascetta con il numero 21 di Dani Jarque...”. Nell’ultima annata di Adrian, il 2013, la squadra giocò qualcosa come 12 tornei in tutta Spagna: "E in almeno dieci ha vinto il premio come miglior giocatore. E giocavamo contro gente come Eric Garcia e Ansu Fati”. Giovani promesse che da lì a poco sarebbero stati suoi compagni.
Le chiamate del Barça
Sì, perché il Barcellona è sempre stato alle porte di casa Bernabé: “Qui in Catalogna ogni anno i migliori giocatori vengono presi dal Barça senza parlare direttamente con l’Espanyol: nel caso di Bernabé lo chiamavano ogni anno per convincerlo ad andare... Dopo cinque stagioni ha ceduto ma è normale per quello che ti offrono dal punto di vista tecnico ed economico i blaugrana. È stata la cosa migliore per il suo futuro”. Ed eccoci tornati alle lacrime del papà, nel giorno dell’addio, come quelle di Adrian il giorno dell’ultima partita con l’Espanyol: una finale persa contro il Levante in uno dei tanti tornei spagnoli in cui era stato il migliore di tutti.
Il periquito ha aperto le ali e dopo il Camp Nou e l’Ethiad stasera con il Parma chiuderà la sua prima stagione in Italia, con la speranza che, dopo lo schock inziale, possa diventare un nido sicuro in cui restare per un po’.