Il sorriso facile, la battuta pronta da buon romagnolo, la preparazione meticolosa dei tecnici federali di una volta. Questo era Azeglio Vicini, morto a 84 anni nella sua casa di Brescia, la città che l’aveva visto nascere come allenatore mezzo secolo fa. Stagione 1967/68, prima panchina in serie A. In attacco aveva Ariedo Braida, che qualche anno dopo avrebbe fatto la storia da dirigente nel Milan di Berlusconi. Un campionato iniziato bene e finito male: retrocesso in serie B all’ultima giornata, dopo un pareggio contro il Napoli al San Paolo. La prima delusione in uno stadio che nel luglio del 1990 gli avrebbe regalato la notte più amara della sua carriera: l’Italia sconfitta ai rigori contro l’Argentina di Maradona. Gli errori di Donadoni e Serena, il colpo di testa beffardo di Caniggia, i miracoli di Goycochea, il silenzio sulle notti magiche.
Un Paese intero si mise le mani sul volto. L’ evento più visto di tutti i tempi nella storia della nostra televisione, 27 milioni e mezzo di spettatori, 87% di share. Un’amarezza brutale perché quella squadra era stata cresciuta come un tamagotchi dal pubblico. Era nata sulle ceneri di Messico ’86 e Vicini, raccolto il testimone da Bearzot dopo quel mondiale, l’aveva plasmata con tutte le nuove risorse della sua Under 21. Un onorevole terzo posto agli Europei dell’88 in Germania, rodaggio perfetto per un mondiale da giocarsi in casa con una generazione nuova. Da Zenga a Maldini, da Donadoni a Vialli, fino a due ragazzi, uno della provincia di Vicenza e uno di Palermo: Roberto Baggio e soprattutto Totò Schillaci. Vicini lo lanciò al posto di Carnevale nel finale della prima partita e si ritrovò il capocannoniere spiritato di un mondiale stregato.
Subimmo solo un gol in tutto il torneo. Un blocco granitico davanti a Zenga, che detiene ancora oggi il record di imbattibilità in una Coppa del Mondo: 517 minuti, un primato sbriciolatosi con un’uscita fuori tempo che ha segnato purtroppo anche la sua carriera. Quell’eliminazione minò il percorso di Vicini sulla panchina azzurra. Era stato scelto dal presidente federale Federico Sordillo e supportato dal suo sostituto, Antonio Matarrese. Purtroppo quella notte segnò un momento di svolta, creando un clima da ultimatum intorno agli “azzurri”, come li chiamava sempre Vicini, con la z morbida e scivolosa della Romagna. Su Coverciano soffiava un vento di cambiamento. L’Italia bonaria e quasi vincente non bastava più, soprattutto se confrontata ai successi dei club. E fra i club, un altro romagnolo, di Fusignano, stava facendo miracoli al Milan.
Vicini si gioca tutto in un girone di qualificazione a Euro ’92 molto complesso. Passa solo la prima, l’Urss come avversario principale. Stava diventando Russia, ma con la scritta CCCP davanti o meno, era sempre fortissima. Già nostra carnefice agli Europei dell’88 e in una notte di ottobre del ’91, la storia torna a bussare. Il nostro destino si stampa sul palo colpito da Rizzitelli nel gelo di Mosca. Finisce 0-0, restiamo fuori dall’Europeo. È il 12 ottobre, giorno di scoperte e di addii. Vicini viene esonerato. Lascia dopo 54 partite, con 32 vittorie, sette sconfitte e 15 pareggi, di cui 2 dolorosissimi. Arrigo Sacchi prese il suo posto e il suo stress.
Azeglio torna fra le braccia della moglie Ines e cerca di ricostruirsi una carriera. Ma lontano da Coverciano, non è la stessa cosa. Il suo garbo viene bollato come inconsistenza troppo in fretta. Una breve esperienza a Cesena in serie B e una fulminea a Udine nel settembre del ’93. Poi l’addio ai campi e la presidenza dell’associazione allenatori. Seguiva ancora tutto, con un occhio particolare per la Sampdoria, la squadra in cui aveva giocato sette stagioni e per il “suo” Brescia. Da giocatore era riuscito a riportarlo in serie A, da allenatore non riuscì a salvarlo. Ma quella città diventò comunque casa sua. Fino all’ultimo giorno. Senza clamore, lontano dai riflettori. Addio mister e grazie per quelle notti. Resteranno sempre magiche, anche nella loro incompiutezza.