Un tonfo nella nebbia, una caduta dal cielo per regalare all’eternità le storie di 31 uomini. Quel 4 maggio di 68 anni fa erano tutti lì, seduti uno al fianco dell’altro, su un areo Fiat G. 212 che da Lisbona li stava riportando a casa, a Torino. Sulle facce i sorrisi di sempre, nei borsoni maglie granata: quelle con cui stavano scrivendo la storia. Ragazzi semplici, uomini veri, a cui il destino ha riservato un finale tragico e crudele. La squadra più forte di sempre secondo qualcuno, la più leggendaria secondo altri. Differenza sottile, perché il Grande Torino non ha bisogno di etichette. Vive ancora, lo farà per sempre: nei cuori e nei pensieri di ogni appassionato di sport. Non si era mai vista una cosa tanto bella all’epoca, così entusiasmante, così perfetta. Una squadra quasi invincibile capace di vincere cinque scudetti consecutivi dal 1943 al 1949, e chissà quanti ne avrebbe potuti conquistare se di mezzo non ci fosse stata la guerra.
Storie di un calcio passato, irripetibile, forse finito proprio insieme allo schianto di quel maledetto aereo. Storie di campioni irraggiungibili, icone immortali che a distanza di anni rimangono marchiati nell’immaginario collettivo di ogni amante del pallone. La lista sarebbe lunga, forse troppo. Da Bacigalupo a Martelli, passando per Mazzola. Il capitano, il simbolo, uno dei più forti numero 10 della storia del calcio italiano. Un gruppo di grandi amici prima che di grandi giocatori. Insieme incantavano e rivoluzionavano… vincevano. Quasi sempre. Fermarli era difficile, quasi impossibile. Nel 1949 avevano già vinto quattro scudetti consecutivi e si apprestavano a vincere il quinto quando a San Siro fermarono l’Inter sullo 0-0. Era fine aprile, il Grande Torino aveva 4 punti di vantaggio sui nerazzurri a poche giornate dal termine. La vittoria dell’ennesimo campionato era solo questione di tempo.
Il destino però a quel punto aveva già iniziato la sua macabra e inarrestabile corsa. Le gesta della squadra granata avevano ormai varcato i confini nazionali arrivando in ogni angolo del mondo. Così quando in occasione di un Italia-Portogallo, Ferreira propose a Mazzola di celebrare il suo addio al calcio in una sfida tra il suo Torino e il Benfica da disputare a Lisbona la fine di un’epoca e l’inizio della leggenda era già scritto. Incancellabile. Prima la partita: spettacolare, vinta dai padroni di casa 4-3. Poi il ritorno a casa, previsto per il 4 maggio, ma interrotto ad un passo dalla meta, sulla collina che sorregge la Basilica di Superga.
La nebbia e il maltempo hanno fatto da sfondo alla tragedia, come a presagire la fine di un’era. “Quota duemila, tagliamo su Superga”, è stata l’ultima frase intercettata proveniente dal Fiat G 212. Poi il buio, e il silenzio. Lo schianto. Non sopravvisse nessuno dei 31 passeggeri, tra cui anche dirigenti e giornalisti. “Soltanto il fato li vinse”, già solo quello, forse nessun altro poteva. Si spengeva in un attimo la vita del Grande Torino, ma da lì iniziava la leggenda che ancora oggi unisce l’intero mondo del calcio. Lì, sulla collina di Superga ancora oggi, a distanza di 68 anni, si riuniscono centinaia di tifosi per ricordare e celebrare quella squadra leggendaria sparita nella nebbia ma ancora viva nel cuore di ogni tifoso.