Islanda, Gudjohnsen: “Al Mondiale senza paura, non siamo una meteora”
L’ex attaccante della Nazionale islandese presenta la propria selezione: “La voglia di essere uniti ci ha portato qui. Tanti tiferanno per noi”
Diciamocelo: in un modo o nell’altro, è la squadra-simpatia per tutti. Autrice di uno splendido Europeo nel 2016, chiuso con una secca eliminazione ai quarti per mano della Francia ma ugualmente andato oltre ogni previsione, e pronta a ripetersi ora, con coraggio e in un girone del Mondiale più che complesso. L’Islanda esordirà oggi nella massima competizione intercontinentale affrontando l’Argentina, senza tuttavia poter contare sull’esperienza di un ormai ex punto di riferimento come Eidur Gudjohnsen: l’ex attaccante del Chelsea, intervistato da “La Gazzetta dello Sport”, ha parlato così delle emozioni vissute nell’attesa del debutto della propria Nazionale a Russia 2018, al di là del rimpianto per non poter essere presente ad un evento simile.
“In un momento di eccitazione ed emozione collettiva, non c’è spazio per il dispiacere, figuriamoci per i rimpianti. Sono solo felice, felicissimo per questo momento magico: è come se continuassero il mio sogno. Ho avuto la mia soddisfazione, ero all’Europeo di due anni fa: cosa ha rappresentato per la nostra gente ormai lo sapete. La voglia di essere uniti ci ha portato qua, il Mondiale è il nostro prossimo passo da vivere senza paura. I prossimi passi? Stabilizzarci a questo livello, anche se dopo le grandi imprese ci sono sempre alti e bassi. Si sa, il calcio e le sue mode cambiano velocemente, ma l’Islanda non è una meteora, non è solo simpatica. Per consolidarci, l’unica strada è il duro lavoro e la serietà”.
Sulla “passione” italiana per l’Islanda, poi: “È un sentimento diffuso: in tanti tiferanno per noi. È una piacevole responsabilità. Non siamo diventati un modello, anche perché non credo ai modelli. E non credo ai segreti, nell’Islanda non ci sono segreti: tutto nasce da un mix di diversi fattori, dalle strutture agli investimenti. Tutti, però, dovrebbero imparare qualcosa da questi ragazzi, dal capitano Aron Gunnarsson: è come se lui si metta un intero Paese sulle spalle. Sigurdsson il mio erede tecnico? Purtroppo arriva da un infortunio, ma è geniale: un creativo, che conserva il nostro spirito da vichingo. Lo avrete sentito nel vostro giro in Islanda: non abbiamo stelle, ma solo un grandissimo gruppo”.
Sul girone della sua Islanda e sulla vita fuori dal campo con i tre figli, infine: “Possibilità che gli avversari ci sottovalutino? No, lo escludo: ormai sanno che questa squadra è completa. Per il resto ogni Paese ha le sue caratteristiche: in Argentina ho visto da vicino la religione del calcio, in Croazia la consapevolezza del talento. Ma si parla poco della Nigeria: sono veloci e pericolosi. I miei figli? Mi godo le loro carriere senza mettere pressione, come faceva il loro nonno con me: è stato un grande insegnamento. Ma non mi chiedete di scegliere un figlio preferito: il più grande è Sveinn Aron, 20 anni, che gioca in Islanda, al Breidablik, e nella nazionale Under 19. Poi Andri Lucas, 16, che è all’Espanyol: è un attaccante con grande talento. Il più piccolo, Daniel Tristan, a dodici anni sta lasciando il segno nella cantera del Barcellona. Se c’è qualcosa nel DNA? Direi in quello di tutto il popolo islandese…”.