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Thuram: “Il calcio indifferente al razzismo. Quella tracciata da Ancelotti è la strada giusta”

Nelle ultime settimane tanto si è tornato a parlare del problema razzismo in Italia, con gli appelli dei principali alle allenatori di Serie A e quello del ct azzurro Roberto Mancini. Un problema sempre attuale e da anni al centro della battaglia che Lilian Thuram combatte ogni giorno in giro per il mondo. L’ex difensore – tra le altre – di Parma e Juventus ha concesso una lunga intervista a Il Mattino, dove ha poi anche trattato il suo rapporto con Carlo Ancelotti e non soltanto.

“Per quanto riguarda il razzismo, è importante che ci sia una persona che dica che tutto questo non si può fare – ha iniziato spiegando il francese – il vero problema è rappresentato da allenatori e giocatori che non dicono niente per paura di mettersi contro quei tifosi. Loro guardano e fanno finta di non vedere, manca la volontà di denunciare. Con un intervento come quello di Ancelotti si prende la direzione giusta. Se si interrompe una partita per cori razzisti o per insulti, il calcio si ferma a riflettere. Questo è un mondo professionistico basato sul business, dunque si può aprire una riflessione se c’è un intervento così forte contro un male che non è soltanto di questo settore ma della società. Il calcio provi a risolvere questa situazione: non la legittimi con il silenzio”.

L’appello arriva poi dallo stesso Thuram, che invita così a riflettere: “Chi non è oggetto di atti di razzismo non si rende conto che questa è violenza pura, ecco perché non dà peso a certi episodi. C’è una differenza tra il razzismo per le origini e per il colore della pelle. Nei confronti dei meridionali che si trasferivano al nord per lavoro vi era un profondo ostracismo negli anni ‘50 e ‘60: si arrivava a negare l’ingresso in un locale. Fuori dagli stadi, la società non fa differenza tra italiani e napoletani mentre ancora oggi c’è chi invece rifiuta la legittimità, lo status di italiano, a chi è nero. Io ho giocato tanti anni con Fabio Cannavaro, lo considero mio fratello. Quando ascoltavo i cori che facevano contro di lui negli stadi perché era napoletano, gli dicevo che non era giusto e che non si poteva far finta di niente di fronte”.

Dal passato al presente, da Cannavaro a Koulibaly: “Kalidou non deve fare finta di niente perché chi fa quei cori deve capire cosa fa. Lui, in campo, sicuramente comprende chi ha di fronte. C’è una domanda ricorrente per me: perché la società accetta tutto questo? Questa è l’immagine dei tempi che vive un paese, si tratti dell’Italia, o della Francia, o dell’Inghilterra. Ciò dà la misura della civiltà del tuo ambiente, che sia un popolo o una famiglia. Salvini? Ho detto che se fossi italiano mi vergognerei. Non è soltanto un problema di colore della pelle e di origine. Io mi vergogno anche di un paese, che può essere il mio o un altro, dove le donne vengono uccise dai mariti o le persone vivono tra i sacchi della spazzatura”.

E ancora: “Nell’atteggiamento ostile verso chi arriva da altri paesi c’è qualcosa che dovrebbe far riflettere anzitutto chi governa. La violenza non è soltanto fisica, è anche quella di un governo che non vuole chi viene ritenuto inferiore. Il risultato è che si porta comunque violenza tra la gente, nel proprio territorio. Questa violenza rischia di diventare naturale ed è una trappola che gli uomini non vedono. Se respingi chi chiede aiuto, se lo lasci morire, pensi che il tuo paese salverà poi chi è in difficoltà? Soltanto se sei educato a comprendere i problemi degli altri potrai comprendere i tuoi”.

Poi i ricordi legati ad Ancelotti e una battuta anche sulla stagione degli azzurri: “Carlo è una persona che mi è piaciuta dal primo momento. Grandissimo come calciatore, aveva da allenatore un atteggiamento intelligente e umile verso i giocatori. È stata una fortuna trovarlo sulla mia strada perché mi ha fatto crescere come calciatore e come persona. Ero abbastanza giovane quando sono arrivato a Parma, 24 anni, e Ancelotti mi ha cambiato la vita. Ci sono allenatori che pensano di vincere da soli le partite: Carlo no, Carlo sa che vince la squadra, cioè l’allenatore e i giocatori. Non è un caso che chi è stato un suo calciatore parli bene di lui”.

“Il Napoli? Sono francese e in corsa per gli ottavi di Champions c’è il Paris Saint-Germain, ma a Napoli sono molto legato perché quella è la città di Fabio Cannavaro, mio fratello. Difficile prevedere cosa possa accadere a Liverpool e Belgrado. A Parigi sono rimasto colpito dal gioco e dall’intensità del Napoli: è molto forte, però gioca la partita decisiva sul campo della finalista dell’ultima Champions. Ad Ancelotti può bastare il pareggio: spero ce la faccia”, ha concluso Thuram.