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Inter, Mourinho: “I segreti del Triplete, il rumore del nemici e la notte di Madrid”

Il meglio in carriera l’ho dato dove ero a casa, dove sentivo le emozioni del mio gruppo, dove sono stato al duecento per cento con il mio cuore: più una persona che un allenatore. Per questo a Madrid ero più felice di vivere la felicità degli altri – da Moratti all’ultimo dei magazzinieri – della mia stessa felicità: io una Champions l’avevo già vinta. Mi è capitato di pensare prima a me che agli altri: all’Inter, mai. Questo succede in una famiglia. Dieci anni dopo siamo ancora tutti insieme”. Firmato José Mourinho.  Intervistato in esclusiva alla Gazzetta dello Sport, l’ex allenatore nerazzurro (oggi al Tottenham), racconta – a 10 anni esatti dalla vittoria in Champions contro il Bayern – emozioni, aneddoti e retroscena del Triplete nerazzurro.


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Il rumore dei nemici

"Il rumore dei nemici, che poi piangevano, era bellissimo: era più forte il tremore del rumore, e se ci pensa bene è la stessa cosa: quando c'è rumore è perché c'è paura. Scesi dall'auto per abbracciare Materazzi perché Marco era il simbolo della tristezza di tutti noi, e di quello che deve essere un giocatore di squadra”, ha raccontato Mourinho.

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Le altre finali “finali”

Coppa Italia, scudetto e Champions. Mourinho racconta le sue 3 finali: "Quella di Coppa Italia non la volevo giocare: l’inno della Roma prima della partita, arrivai a provocare “Fermate la musica o ce ne andiamo”. A Siena avevo paura: sei giorni dopo c’era la grande finale, temevo non giocassero quella partita come una finale. Zero a zero al 45’, la Roma vinceva 2-0, nello spogliatoio un caldo tremendo, non capivo come aiutare la squadra a svoltare tatticamente. Fu molto dura, e non finiva più. Avevo detto: “Un giorno mi piacerebbe vincere un campionato all’ultima”. Quel giorno mi dissi: “Mai più”".


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“Dopo il Camp Nou sapevo che avremmo vinto la Champions”

Che torna poi sulla decisione di lasciare l’Inter per il Real, proprio nel post successo col Bayern: “Se fossi tornato da Madrid a Milano, con la squadra intorno e i tifosi che avrebbero cantato 'José resta con noi', forse non sarei più andato via. Io non avevo già firmato con il Real Madrid prima della finale: chi ha detto che qualcuno del Real venne nel nostro hotel prima della finale disse una cazzata. Volevo andare al Real: mi voleva già l'anno prima, andai a casa di Moratti a dirglielo e lui mi fermò, 'Non andare'. Al Real avevo già detto no quando ero al Chelsea, al Real non puoi dire no tre volte. Avevo deciso di andare via dopo la seconda semifinale con il Barcellona, perché sapevo che avrei vinto la Champions.

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Il messaggio a Ibra

Svolta della stagione nerazzurra fu l'arrivo di Eto'o, arrivato in nerazzurro nell'operazione che portò Ibra al Barcellona Mou ricorda i giorni dell'addio dello svedese: "A Pasadena successe un casino, il giorno dell’amichevole contro il Chelsea. Tormentone da giorni: Ibra va al Barcellona, non va al Barcellona”, lui da superprofessionista quale è giocò 45’, ma poi nello spogliatoio disse: “Vado, devo vincere la Champions”. I miei assistenti italiani erano morti – “Senza di lui sarà impossibile vincere” – i compagni non volevano perderlo. Ero preoccupato anche io, ma mi uscì così: “Magari tu vai e la vinciamo noi”. Ero stato un po’ pazzo, ma nello spogliatoio cambiò l’atmosfera. Poi dissi a Branca “Se lui vuole andare a Barcellona, cerchiamo di prendere Eto’o”…


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