Infanzia dura, tanti errori, veri amici e presente a Las Palmas. Boateng a 360°: “Da piccolo dicevano somigliassi a Rivaldo”
Dall’infanzia al presente, dagli idoli al cambiamento personale, da Boateng a, più semplicemente, Prince. In una lunga e bella intervista concessa a Marca, l’ex centrocampista del Milan, attualmente al Las Palmas, si è raccontato davvero a 360°, alternando i migliori momenti vissuti in carriera a tempi adolescenziali difficili.
“Ho trascorso la mia infanzia in un quartiere molto povero, è stato difficile crescere lì: mia madre non aveva molti soldi e mio padre non era mai a casa, non avevo la possibilità di giocare come altri bambini. Per me era normale perchè non mi potevo rapportare a nessuno, nel mio quartiere era normale vivere così. Tutto ciò che è mancato nella mia vita posso darlo a mio figlio: è il mio obiettivo, lavorare duro perchè non gli manchi nulla. E mi pento di aver preso decisioni sbagliate in passato: è importante nella vita ammettere i propri sbagli. Prima ero fatto in modo diverso, grazie agli errori sono come sono ora: ero impulsivo e ora sono più razionale. Mi sono pentito di molte cose: essendo giovane non lavoravo molto, giocavo solo tenendo conto del mio talento. E non era il cammino corretto: ora mi pento di non aver lavorato di più prima, ma era normale in quell’epoca. Ero il “capo” del mio quartiere, avevo fama e soldi. E fu una situazione impossibile da gestire: da un giorno all’altro hai tanti soldi da poter comprar tutto. E in due anni ho sprecato tutti i miei soldi in macchine, orologi, scarpe, discoteche, ristoranti e per amici che in realtà non lo erano. Per un ragazzo come me, cresciuto in un quartiere povero e senza soldi, era pericoloso. Quanti amici ho? Due. Il resto sono amici solo per il momento, ma quando cambiano le situazioni non lo sono più. Dal quartiere della mia infanzia non ho più un amico che uno. I miei migliori amici sono Muntari (ho giocato con lui nel Milan e nel Ghana) e Patrick Ebert, lo conosco da 20 anni”.
Un giro di vite, all’interno della propria carriera, datato 2010, anno in cui Boateng è definitivamente cambiato. Nonostante la Nazionale resti un capitolo ancora da chiarire: “Mi sono reso conto di dover cambiare dopo il Mondiale del 2010: vidi giocatori di altro livello e pensai di dovermi concentrare solamente sul calcio per arrivare a questo livello. Avevo la mente occupata da cose poco importanti. Non tutti i giocatori possono dire di aver giocato un Mondiale: in quel momento ti ricordi della tua famiglia e di tutti coloro che hanno fatto parte della tua vita, appoggiandoti per avere successo. E’ incredibile, perchè non gioco solo per me, ma anche per il mio quartiere, la mia donna, i miei genitori, i miei fratelli. E’ un momento unico. Giocare contro mio fratello è stato il top, è qualcosa che non accade spesso: in quel momento però non ci pensai molto: sono 90 minuti in cui non ti fermi a pensare a ciò che sta succedendo, nonostante sia storico. E mi piacerebbe tornare in Nazionale: mi sento male per tutto ciò che è successo e per come è successo. Voglio parlare con il presidente e con il mister per chiarire la situazione: se dopo tutto questo giocherò, sarò felice. Ma credo siano loro a dovermi chiamare, io sto giocando: quando avranno tempo per Boateng, sarò qui. Per me la Nazionale è molto importante”.
Spazio poi a varie considerazioni su più giocatori: da leggende al migliore mai affrontato. “Makélélé fu il miglior giocatore mai affrontato, in un Tottenham-Chelsea a Stamford Bridge. Fu incredibile, non mi fece toccare un pallone: era fortissimo. Valeron? Certo, mi sarebbe piaciuto giocare con lui. Lo vedevo sempre in TV: era un giocatore al quale riusciva tutto facile, come con Zidane. Non ho avuto invece l’opportunità di conoscere Raul: ci ho giocato contro, ma quando se ne andò dallo Schalke io arrivato. E’ come Inzaghi: sempre nel momento giusto”. Poi, i migliori momenti in carriera, tra gol segnati e successi: “La vittoria del campionato di Serie A: è un momento molto importante della mia carriera. Il gol contro il Villarreal è il più bello che abbia mai segnato a livello di squadra: è una giocata perfetta in cui ha partecipato tutta la squadra, chiusa da un colpo di tacco e da una volée. Ma a fine partita ha vinto il Villarreal, ed è ciò che rimane. Mentre il gol più bello fatto personalmente è quello segnato contro il Barcellona. Il miglior giocatore della Liga è Cristiano invece, ha tutto: destro, sinistro, testa, velocità. In questo pianeta, il migliore è Ronaldo. Messi invece non è umano, è di un’altra galassia. Stadio preferito? Old Trafford o Anfield. Ma anche San Siro, casa mia. Il mio giocatore preferito da piccolo era Rivaldo: avevo le gambe arcuate come le sue e dicevano gli somigliassi”.
Capitolo Las Palmas: “Ho scelto il Las Palmas perchè nella vita non importa sempre il denaro, per me è importante essere qui. Non avevo mai giocato in Spagna e quando mi chiamarono Helguera e il presidente non ci pensai un attimo: voglio alzarmi ogni giorno con il sole. E’ stata una decisione per la mia vita, non solo per il calcio. Qui ho trovato tranquillità, e sono molto felice: sono andato in spiaggia solo due volte con mio figlio, non vengo qui per sfruttare l’andare al mare. E godo del gioco perchè abbiamo sempre il possesso palla. A prescindere dal risultato, giochiamo sempre allo stesso modo: in Italia, Germania e Inghilterra non si gioca così. Mi piacciono il tempo, la gente e la tranquillità: la filosofia della gente di qui è ‘se non possiamo farlo oggi, lo faremo domani’. Non c’è stress, questo mi piace. Lavoro con tranquillità e questo mi permette di concentrarmi sul mio lavoro. Si è parlato molto della mia firma con il Las Palmas: molti dicevano che sarei venuto qui per far festa. Ma volevo firmare qui per dimostrare alla gente che giocatore sono. per questo lavoro tutto il giorno. Il calcio cambia molto rapidamente: da un mese tutti parlano di me solo come calciatore ora. Il mio obiettivo è vincere la prossima partita: sembra una frase molto tipica, ma questo è certo: l’importante è arrivare a maggio avendo mostrato il nostro miglior livello. Non parlando di Europa, ma semplicemente continuando a sfruttare l’ottimo momento della squadra. Conoscevo poco del Las Palmas, mi sorprese il fatto che l’anno scorso rubò la percentuale di possesso palla al Real Madrid al Bernabéu. “Da dove arriva questa squadra?”, mi chiesi. E il tifo ha grande cuore, sono tutti del Las Palmas, non del Real o del Barça: e senti la loro passione perchè viene dal cuore. Mi piace il loro calore. Avevo perso la voglia di giocare, arrivò un momento in cui il calcio era solo lavoro. Ora ne godo ancora, e nel migliore campionato al mondo. Mi sento bene. Prima non lavoravo con il gruppo, con le persone, non mi importava molto la mia relazione coi compagni: ora invece la curo molto di più“.
Infine, piccola parentesi su tante curiosità e su un Suso rinato al Milan: Dovessi scegliere un personaggio storico? Ali è una persona molto importante, è più intelligente di quanto si possa pensare. Ho ammirato Michael Jackson come musicista, e poi Nelson Mandela: lo conobbi in Sudafrica dopo il Mondiale, mi chiamava il Beckham d’Africa. Mi disse che avrei dovuto sposare sua figlia, e gli risposi che ero sposato. Per poi controbattere: “Io ne ho 5, che problema c’è?”. E’ una persona incredibile, è stato in carcere per molti anni ed è una persona molto calma, con un’aura che sprizza pace e forza. Io bad boy? Perchè sono nato così… è una protezione per mantenere uno spazio con gli altri. E’ successo anche ad Ibra: se parli con lui 10 minuti ti rendi conto del fatto che sia una persona fantastica. Quasi tutti i giocatori sono così, tranne Dinho, che è sempre scherzoso: lui è il migliore, come persona e come calciatore. Il suo stile è unico. Giocava al Barça ma i tifosi del Real lo applaudirono, tutti lo amano. Se ho qualche portafortuna? Un braccialetto che mi metto quando entro in campo perchè mi dia fortuna. E su Suso dico che non aveva spazio quando arrivò al Milan: è un ragazzo molto sensibile e ha bisogno di un allenatore che lo tratti bene: Mihajlovic era un allenatore molto forte caratterialmente, per questo non aveva spazio. Parlo sempre di lui considerandolo un grande giocatore: si vedeva che lo sarebbe diventato per il suo tocco, la sua qualità e la sua velocità.