Incubo Arezzo: preavviso di sciopero e futuro incerto. Moscardelli: “I nostri mesi d’inferno tra rabbia e delusione”
“C’è rabbia, c’è delusione, c’è rammarico. Rabbia per come è accaduta questa vicenda. Per come hanno trattato le persone, non i giocatori. E’ stata presa in giro una città intera”. Come riassumere lo stato d’animo di un club e di una squadra che può solo aggrapparsi alla speranza ma nel lieto fine non crede più. Attraverso le parole di un capitano che è molto più del giocatore che scende in campo con la fascia al braccio.
“Non crediamo più a quello che ci viene detto. Ne abbiamo sentite troppe. Sono stati mesi d’inferno”. Le parole di Davide Moscardelli come manifesto di un Arezzo che sta vivendo un incubo. Un brutto sogno lungo 5 mesi. Il declino infatti è iniziato dallo scorso ottobre, quando l’ex presidente Mauro Ferretti decise di disimpegnarsi ed ha cercato un nuovo acquirente. A fine novembre è stato poi venduto il club per il 99 per cento alla Neos Solution che dopo 5 giorni non ha da subito rispettato il pagamento degli stipendi, dichiarando di fatto nullo il contratto che avevano sottoscritto. Nel frattempo la stessa Neos aveva eletto come presidente (ma senza quote) Marco Matteoni che dopo aver visto il dietrofront della Neos ha deciso di prendere lui in mano il club, comprando la società e saldando una parte di arretrati. Poi però il ritorno di altri creditori ha portato lo stesso Matteoni a dover fronteggiare più situazioni economiche da saldare. Da qui, la richiesta di aiuto ad un fondo inglese che 5 ore prima di fare il bonifico per rispettare l’ultima scadenza (tre giorni fa) si è tirato indietro. Il solo Matteoni allora ha dichiarato di non poter saldare gli arretrati e da allora non si è più palesato con chi ancora lavora all’interno dell’Arezzo.
Lo scorso 16 febbraio dunque è scaduto il termine ultimo per saldare gli stipendi arretrati. Promesse non mantenute, debiti rimasti tali. E, da oggi, calciatori in stato d’agitazione. Tradotto: preavviso di sciopero. Ad oggi, la decisione è di non scendere in campo per il prossimo impegno di campionato contro il Livorno, a meno che non vengano pagate “quantomeno le mensilità di novembre e dicembre 2017”, come si legge nel comunicato reso noto oggi. Sì, perché se per essere domenica scorsa a Pontedera i giocatori si sono autofinanziati la trasferta adesso la posizione è chiara.
“Una cosa mai vissuta tra i professionisti, in Promozione sì… Quando mi accompagnava mio padre”. Perché Moscardelli – in esclusiva ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – ha provato a sdrammatizzare. Un sorriso amaro però, come quello che accompagna lui e i suoi compagni ormai dall’ottobre scorso. “Quella scadenza era il giovedì ed era troppo vicina per creare scompiglio così, la scelta più ovvia era giocarla. Ma quei pochi soldi nelle casse dell’Arezzo li abbiamo usati per pagare i dipendenti che sono quelli che ci rimetteranno di più nel caso in cui finisca tutto male – ha proseguito il capitano amaranto –. Per questo abbiamo deciso di andare a spese nostre. E’ stata una partita sentita, c’era una situazione strana. Abbiamo cercato di vincere anche per i tifosi che ci hanno seguito e sempre sostenuto. Ce l’abbiamo messa tutta per loro”. E in tutta l’amarezza di una vicenda assurda (anche se purtroppo non nuova nella categoria), c’è stato spazio anche per un bel gesto: “Il vice presidente del Pontedera, vista la situazione, ci ha invitato a cena perché poi la partita è finita alle 21. E’ stato un gesto importante, un gesto che ha toccato un po’ tutti. Dopo Modena e Vicenza, bisogna cambiare qualcosa. Lo dico non solo per l’Arezzo ma in generale per il futuro del calcio italiano, per evitare che succeda ancora”.
Dagli errori, in questo caso, non si è imparato. Ecco allora che la società è arrivata a questo punto (quasi) di non ritorno. Senza un direttore sportivo, senza un direttore generale. Tanto che quei giocatori che potevano andare via o aveva opportunità importanti non sapevano a chi rivolgersi. C’è chi ha lasciato Arezzo, ma altri hanno deciso di rimanere. Per primo lo stesso Moscardelli, corteggiato e cercato fino all’ultimo giorno dal Pisa. Una scelta dettata dal cuore, dal fatto che essere capitano di una squadra significa tanto anche lontano dal campo. “Andare via non sarebbe stato facile”. Lui è uno che si affeziona, mai uno di passaggio: “Non l’ho mai fatto, in 15 anni di carriera una sola volta sono stato ceduto a gennaio e non era una cosa voluta da me. Quando comincio una cosa mi attacco. E poi è difficile cambiare idea”. Anche se adesso, forse qualche ripensamento in più è sorto. Per lui e per gli altri rimasti con una speranza, disillusa dall’ultima deadline arrivata senza ottenere quanto ogni componente del club aspettava da tempo.
Una situazione delicata e confusa che però paradossalmente ha unito ancora di più lo spogliatoio. Sulla barca Arezzo ci sono i giocatori, lo staff, il magazziniere e il personale in ufficio. Il capitano Moscardelli e al timone nessuno, mentre si naviga a vista in acque davvero turbolente. Poi però ci sono anche i tifosi, tra cui i 300 che hanno seguito la squadra nella trasferta di Pontedera. Vicini, sempre. “Si è instaurato un gran rapporto perché hanno visto che ragazzi siamo, non abbiamo mai mollato. Abbiamo fatto vedere che ci teniamo a quello che facciamo, perché è ciò che ci piace: andare in campo, divertirci, sentire la pressione prima della partita, festeggiare dopo. E queste sono tutte cose che ci stanno togliendo”. Tristezza, rabbia. Poche certezze e ancora diversi scenari possibili: dalla possibilità che arrivi qualcuno che ripiani il debito e mandi avanti il tutto, alla messa in mora, quindi un percorso di fallimento, fino all’esercizio provvisorio o alla liquidazione della società da parte del tribunale. Intanto mercoledì mattina il segretario generale della Lega Pro, il vice segretario della stessa Lega e l’ufficio legale incontreranno ad Arezzo il sindaco e l’assessore allo sport, i dipendenti del club, la squadra e lo staff. Tanti scenari ancora possibili, dal più roseo fino a quello col finale più amaro. Ma una cosa è sicura: questa sarà la settimana decisiva, qualunque sia l’epilogo.
Una storia che si ripete. Un copione già letto. E la voglia di risposte e soluzioni concrete per chi è ormai stanco delle sole parole: “Mi auguro che vada tutto bene ma la vedo difficile. La speranza però… Un briciolo la teniamo ancora viva. Ma non dipende solo da noi. Anche le autorità, le persone intorno ad Arezzo che hanno detto che avrebbero dato una mano… Questo è il momento giusto per farsi vedere e per fare quello che hanno sempre detto. L’appello del nostro comunicato era anche per loro. Aspettiamo cosa succederà questa settimana e pregheremo, non lo so. Se non succede qualcosa di grosso e concreto noi non scenderemo in campo domenica”. E poi? “Non lo so… Bisogna vedere quello che succede. Ma non più solo a parole”.