I’ll never Walk Alone: storia di un indimenticabile bordo…Kop
La prima volta a bordokop non si scorda mai. Questa volta, poi. E come posso dimenticarmi una serata così? Passo indietro, anche per spiegare perché mi trovassi lì. E non nella consueta postazione a bordocampo tra le due panchine. L’Uefa assegna alle varie emittenti che hanno i diritti una location durante la partita, anche a seconda della nazionalità delle squadre in campo. Ci fosse stata un’italiana ad Anfield, mi avrebbero insomma messo (forse) in una posizione più tradizionale, per origliare -nonostante il frastuono- le indicazioni dell’allenatore di turno. E invece no, sedia sotto la Kop. Mamma mia. Cuffia con microfono nelle orecchie, Marianella e Ambro in telecronaca, il telefonino sempre in mano per immortalare quei momenti. Unici.
A partire dal primo “You’ll never Walk Alone”, spettacolo pazzesco da lì, spalle al campo per godermi ogni flash. In realtà, non sempre spalle al campo perché un ragazzino di 12/13 (credo) mi chiede di aiutarlo a tenere il lungo striscione rosso che esibisce con mamma e papà. Mi sono sentito un ultrà? Non proprio in realtà, perché di tifo/gruppo organizzato lì non ho visto poi tanto. Magari non nella zona mia, a ridosso delle ultime file. Non un megafono per far partire i cori, tutto spontaneo e partente dal cuore. E tante, tantissime famiglie. Una delle immagini che mi porterò per sempre dentro. Quegli occhi brillanti di passione, quella ricerca di complicità quando mi giravo a osservarli, come se dovessimo convincerci a vicenda della fattibilità di un’impresa. Un occhiolino a me, un sorriso a te e via di gol e cori, illusioni e lacrime di gioia. In campo, i Reds trascinano Anfield,che a sua volta trascina tutti (anche me) e inneggia a Klopp, che trascina pure lui con la sua irresistibile grinta sincera. Sul 4-0, come ho raccontato poi in diretta, mi si avvicina uno steward. Lo stesso che passando qualche minuto prima e incrociando il mio sguardo aveva sussurrato un “wow” senza farsi vedere troppo.
Si avvicina, mi sposta la cuffia e mi dice fiero: “It can only happen at Anfield”. Può succedere solo in questo stadio. Non lo urla, gli basta scandirmelo bene. Forte e chiaro. Inizia il recupero, cinque interminabili minuti. Mi giro sempre per vedere quelle espressioni, per sentirmi uno di loro. Per capire cosa si prova ad amare così tanto una squadra e a vederla vicina ad una delle più grandi imprese della storia del calcio. Finisce la partita, inizia un momento che resterà sempre di me. Tutto il Liverpool, tutta Liverpool, a cantare insieme quel simbolo di forza e unione. Mi vengono i brividi, non piango solo perché mi trattengo. E perché ho il solito cellulare in mano e non voglio che il video tremi. Quel video che mi stanno chiedendo da tutta Europa. Come testimonianza di un’infinita storia d’amore. Io c’ero e non camminerò più solo, entrando in quella casa dove non sei ospite mai.
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