Il Valencia, l’atletica e le “fughe” nei locali: Mendieta, auguri! Mister 90 miliardi oggi fa il Dj
Barba incolta, quasi da rockstar. Il capello lungo non c’è più, l’età si fa sentire. Oggi ne sono…? 42. Tantini. Barbettina, dicevamo. Sul biondiccio. Cuffiette, console, una futuro da Dj. Tra discoteche londinesi e localetti un po’ underground. Perché l’obiettivo è “tastare l’umore della gente per capire cosa vuole”. House, indie-rock, blues. Via di mixer. La nuova (bella) vita di Gaizka Mendieta. Ve lo ricordate? Un tempo gol e trofei. Sgattaiolando dai ritiri valenciani per andare a suonare: “Usavo un cappello per nascondermi, poi salivo in console. Era la mia personale fuga dal calcio. La adoravo”.
Inolvidable. Il Valencia, Ranieri, Cuper, Claudio Lopez. Squadrone che in Liga dominava (Coppa e Supercoppa tra ’98 e ’99). Infine, lì a destra, quel todocampista biondo che correva avanti e indietro. Merito dell’atletica: “Feci il record nazionale sui 2000 metri piani quand’ero ragazzino, è rimasto tale per 15 anni”. Silenzioso, pacato. Anche timido. Perché in campo contano soprattutto “rispetto ed umiltà”. Idolo? Ruud Gullit. Capelloni. “Motivo? Talento e qualità”. Tutto molto bello, favoletta per bambini dall’esito scontato. Sembra così. Invece no, di quei 90 miliardi bisogna pur parlare. Ne segnarono la fine. “Lazio, che hai combinato?”. Tormentone classico. “Ma l’avranno finito de pagà?” mormorano ancora in qualche bar.
Estate 2001, Mendieta arriva a Roma con grandi aspettative. Soldi spesi? Tanti. Cragnotti sorride, è sicuro. Trapattoni lo incorona: “Gaizka ha qualità fuori dal comune”. Nessuno le vedrà. Zoff non sa dove metterlo (lo schiererà anche centrale difensivo), Zaccheroni lo escluderà dai titolari. Lui, schietto, rispondeva fiducioso: “Non ci vorrà molto per vedere il vero Mendieta”. Mistero, enigma, illusione. Sbarca in camicia biancazzura e si prende la villa di Nedved, volato via alla Juve. Scrivevano di lui: “Ama i The Doors, legge Nick Horby e colleziona dischi (gli indizi c’erano tutti…)”. Lazio in estasi, ma il sogno svanisce presto. Contro il Perugia, poi, l’epilogo: viene annullato da Fabio Gatti ed esce di scena a testa bassa.
Gennaio 2002. Siamo già ai saluti. Mendieta sfiora l’Athletic e si “arrabbia” per la mancata cessione: “Mi ero illuso di poter andare a Bilbao, dove sicuramente avrei avuto più spazio. Il fatto che questa trattativa sia saltata non è certo dipeso da me”. “La Lazio è una sfida, non mollo” diceva. Poco male. A giugno “se va” al Barcellona. In silenzio, tra gli sfottò, dopo una trentina di presenze senza reti. Proprio lui poi, uno da 59 gol in 9 anni lì al Mestalla. Forse ha pagato l’ambientamento. O forse, chissà, una Lazio vicina all’implosione. Adios Mendi. Niente Real però, non sia mai. “Colpa” di una clausola stipulata col Valencia. “Non ero così bravo, ero semplicemente un ottimo atleta”. Umilissimo fino all’ultimo. E altro flop in blaugrana. Chiuderà col Middlesbrough, vincendo la Coppa di Lega nel 2004 (primo trofeo della storia del club).
Difficile ambientarsi in Inghilterra, ma l’allegria era al top: “Dopo ogni partita volavano birre in spogliatoio!”. Si ritira nel 2007, poi abbraccia la musica. Proprio come Cissè. Mendieta, però, sul palco non è male: nel 2015 si esibisce coi Los Planetas al Festival Internacional de Benicàssim. Irriconoscibile. Luci soffuse, quel clima un po’ noir che fa vecchiotto. Capello corto, non più la chioma. Nuova vita. Chitarra, barbettina, sorrisi. “Mister 90 miliardi” oggi va in console. E si diverte pure. Dj Mendieta.