Il saluto al Cesena e il Giappone (ritrovato), Akira Fantini: “Io romagnolo-giapponese. La piadina della nonna e la cultura del rispetto…”
Piadina o sushi? “Entrambe, dai!”. Perché quando ami due cose diventa impossibile sceglierne una. Dal tautologico al sentimento, il quale molto spesso, peraltro, si estrinseca in verità assoluta. E la sua scala assiologica di valori è molto chiara… “Famiglia, Giappone, Romagna…poi tutto il resto”. Idee fin troppo chiare Akira Fantini, portiere classe ’98 (diciotto anni, sì!) che da qualche giorno ha salutato il Cesena, dopo sei anni in bianconero, per tornare in Giappone. “Una scelta dettata dal fatto che non ce la facevo più a stare lontano dalla mia famiglia. Mio papà è di Cesena ma vive in Giappone con mia madre, i miei tre fratelli e mia sorella. Non vedevo l’ora di riabbracciarli. Ma comunque, cara Italia, è solo un arrivederci”.
Viaggi, scoperte, nuovi orizzonti. Perché, spesso, è l’abitudine a far la differenza. Ed è cosa assai importante quella di abituarsi fin da piccoli ad essere autonomi e indipendenti: a non dover dipendere mai da nessuno. Ad affrontare ogni situazione solo con la propria testa, quando sei ‘tu e il problema’ alla fine devi per forza risolverlo e non puoi di certo scappare… “La mia è una storia un po’ particolare, sono romagnolo-giapponese. Papà e mamma, che è giapponese, si sono conosciuti all’Università di Pechino dove studiavano cinese. Sono nato a Tokyo, poi quando avevo quattro mesi ci siamo trasferiti in Cina. Frequentavo lì una scuola giapponese che finiva a marzo, successivamente tornavo un mesetto in Italia per imparare la lingua e soprattutto per stare con nonni e zii paterni”. Cesena, la Romagna, il calcio. Sei anni in bianconero. Ma, giustamente, il primo (ormai) ricordo non è propriamente calcistico… “La piadina della nonna…la fine del mondo! E poi la simpatia della gente romagnola è un qualcosa di unico. Mi mancherà tutto tantissimo. Non smetterò mai di ringraziare i miei nonni che in questi anni sono stati come secondi genitori. L’altro giorno quando li ho salutati, siamo scoppiati tutti a piangere”. E l’affetto dei nonni è quanto di più autentico ci possa essere. Una loro carezza, un loro sorriso: di quelle cose che veramente ti fanno palpitare il cuore. “I primi anni in Italia ho fatto fatica, sia dal punto di vista linguistico che calcistico. Loro sono stati fondamentali per me, con i loro consigli e la loro saggezza. Non riesco a trovare le parole giuste per ringraziarli a sufficienza… Nonni, vi voglio davvero tanto, tanto bene”.
Dagli Esordienti alla Primavera, un cammino lungo, talvolta faticoso… “Senz’altro indimenticabile. Anche ora, dal Giappone…Dai Burdel! Sono e sarò sempre tifosissimo del Cesena. Che poi la prima parola in dialetto romagnolo che ho imparato è stata proprio burdel…ragazzo”. Quelle giornate in Riviera, il sorriso della gente, la pesca. Emozioni indimenticabili. Sampei, no? “Una specie, dai”. Sorride Akira, con quella spensieratezza che a diciotto anni ti porta oltre ogni limite, ti fa apparire tutto a colori. L’importante è non farla sbiadire mai perché, spesso, successo (e insuccesso) dipendono più dal nostro modo di approcciarsi alla cosa che dalla fattualità vera e propria… “Sorriso romagnolo e cultura del rispetto giapponese. Sono metà e metà. Cerco di essere sempre ottimista, d’altronde me lo impone anche il mio nome”. Akira, alias sole brillante.
Ah, il destino! Quello stesso che, peraltro, lo ha portato ora da un ex bianconero Massimo Ficcadenti: al Sagan Tosu, quattordicesimo nella J-League dopo cinque giornate… “Piano piano mi sto ambientando. L’altra sera – racconta ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – sono stato a cena con Ibarbo. Un tipo davvero molto socievole… ‘Ciao fratello, come stai?’. E poi ovviamente abbiamo cominciato a parlare dell’Italia. Sono qui da una settimana circa e devo dire che sono rimasto favorevolmente sorpreso dal calcio giapponese: il livello è abbastanza alto, si lavoro molto sulla tecnica, sui passaggi. I presagi sembrano favorevoli…”. Presagi e obiettivi… “Le Olimpiadi 2020 a Tokyo con il Giappone. Addio Italia? No, ho tempo fino a 21 anni per decidere. Se sono diventato un portiere oltretutto lo devo a Gigi Buffon”. L’importanza di un modello – positivo – che può finire per modellare anche la tua vita… “Una sera stavamo guardando una partita della Nazionale con papà, io ero piccolo, avrò avuto 7/8 anni. Avevo cominciato a giocare da poco, in Cina, facevo l’attaccante. Vedo due parate di Buffon e… ‘Papà, da domani voglio fare il portiere’. Beh, diciamo che da lì non ho più smesso”. Sogna Buffon, ama la piadina, con i nonni nel cuore e il Giappone – in una sorte di eterno ritorno dell’uguale – finalmente ritrovato. La semplicità del mondo di Akira Fantini, la semplicità di avere diciotto anni e di sorridere sempre e comunque…