Il ritorno in C, le nozze e un agente come amico: “Questo è il mio 2018”. La Vibonese ha la sua ‘Dinamite’: che spettacolo Franchino
Un fuoco che rinasce senza sosta. Una passione irrefrenabile scaldata da valori, amore e sentimenti: “Adesso appena finisce la stagione corro a casa e vado direttamente in chiesa: Eleonora mi aspetta per diventare mia moglie”. Sì, Eleonora e…Gabriele: proprio lui, la ‘dinamite’ della Vibonese. Tiro potente a sfondare la barriera e via, su e giù per la fascia destra spinto dalla forza di un gruppo meraviglioso: “Serie C, siamo tornati”. Ed eccoti di nuovo qua, Vibo, perché ora il sogno comincia da dove all’improvviso si era interrotto: “Quanti sbalzi l’anno scorso. Emozioni mescolate con ansia e paure. Rabbia. Dopo la retrocessione dalla Lega Pro la società stava costruendo una squadra per disputare la Serie D, poi siamo stati riammessi e quindi si era subito ridisegnato un nuovo progetto”. Solo un’illusione, però. “Il Messina si era salvato sul campo ma non aveva poi presentato a tutti gli effetti la fideiussione, non adempiendo così ai regolamenti della Lega, noi invece avevamo fatto tutto con chiarezza”, racconta Gabriele Franchino in esclusiva a GianlucaDiMarzio.com.
Dall’inferno al paradiso. Destini rovesciati e cambiati all’ultimo: “La Vibonese, dopo la retrocessione sul campo, aveva chiesto la riammissione avendo proceduto regolarmente, e così la federazione aveva dato ragione al nostro presidente, diramando un comunicato in cui saremmo stati riammessi”. Festa. Una gioia poi trasformata in rabbia: tra sacrifici, battaglie legali e lacrime. Addii. “Una contro sentenza improvvisa ci ha ricacciati in D. Siamo sprofondati. Eravamo pronti a festeggiare la riammissione con tutti i tifosi, ma nulla”. Buio. “Non mi vengono nemmeno le parole per raccontare come mi sono sentito. Alla fine, però, ho deciso di ripartire dal basso, coi miei compagni, mosso da un infinito sentimento di rivalsa”. Dalla sentenza fino a un dischetto, quello del Granillo, “gli undici metri più importanti della mia carriera”. Rincorsa, il film di una stagione che passa per la testa e palla in rete:“Non sono un rigorista, il coraggio però non mi manca. Respiro profondo e pressione sulle spalle. Lo calcio. Non volevo dare questo peso ai miei compagni più giovani”. Questione di responsabilità, già.
13/05/2018 e 30/06/2018: due date, due sogni
Il 13 maggio i tifosi della Vibo sono tutti al Granillo, il campo dello spareggio decisivo contro il Troina: “Che carica. Pazzesco. Noi più loro, il nostro pubblico, 3000 persone per trascinarci in C”. Una missione trasformata in realtà ai calci di rigore. Il tutto dopo “un girone pazzesco segnato da una rimonta strepitosa impreziosita da 32 risultati utili consecutivi”. Favola. Come quella di Gabriele Franchino, il terzino destro guerriero della generazione 1991, calciatore innamorato della sua vita: “Penso calcio h24. Per me il pallone è una malattia, da sempre. A casa mi divoro ogni partita disponibile in televisione. E soprattutto amo guardare la Serie B”. Gabriele ci spalanca le porte del suo mondo con il cuore in mano, orgoglioso di raccontare la sua carriera aprendosi con passione e curiosità: “Nel tempo libero su Sky Sport mi diverto a seguire le opinioni e le interviste dallo studio, ho un debole particolare per la B: forse perché rivedo tanti miei ex compagni che ce l’hanno fatta. Un po’ come Matteo Pessina, lo conobbi quando si allenava a Monza, un vero talento”. Un profilo genuino, Gabriele, terzino di potenza, intelligenza e voglia di stupire: “Il nostro girone è stato bello tosto, composto da squadre solide e nobili decadute, e poi c’era la matricola terribile del Troina, una squadra siciliana che ha realizzato un campionato eccezionale. Allo spareggio è andata in scena una partita eroica, ma alla fine i rigori ci hanno dato ragione”. Di nuovo Serie C, “e adesso andiamo a Rieti dopo aver battuto 4-0 il Potenza – la vincitrice del Girone H – per conquistare le semifinali tricolori della Poule scudetto”.
Da Zanetti alla bresaola: l’universo Franchino
Dedizione, punto. Testa bassa e pedalare, anzi: “studiare”. Parola di Franchino: “I miei genitori mi hanno sempre permesso di coltivare il mio sogno senza mai pormi limiti. Ho sempre avuto una promessa reciproca con mio padre: “tu puoi giocare a pallone quanto vuoi, ma ci devi portare a casa il diploma”. Patto mantenuto e obiettivo realizzato”. Da un sogno all’altro, come quello di conoscere Zanetti: “Non toccatemi la maglia di Javier, ce l’ho in camera custodita come fosse un tesoro, prima un vero uomo e poi un giocatore fenomenale”. Molto più di un semplice idolo, “io mi ispiro a lui, alla sua immagine pulita, voglio essere una persona prima che un giocatore, proprio come l’argentino”. Franchino interista, dunque? “No, non ho una squadra del cuore, da piccolo simpatizzavo Juventus, ma nulla di serio. Sono neutrale. Tifo per il calcio, per la sua bellezza”.
Pallone al lavoro, pallone in famiglia: “Eleonora è la mia futura moglie, siamo fidanzati da undici anni, ma nelle esperienze lontano da casa non ha mai potuto trasferirsi con me a causa dei suoi impegni lavorativi. Appena c’è un attimo, però, lo sfruttiamo per stare insieme. E ora la nostra storia verrà coronata dal matrimonio, nozze che celebreremo sul lago il 30 giugno. La luna di miele sarà breve, andremo a Parigi, poi il mio obiettivo è quello di partire subito per il ritiro con la squadra”. Un doppio amore che più forte non si può, quello di Franchino: “Ogni tanto davanti alla tv bisticciamo perché io voglio vedere solo il calcio, anche perché le alternative sarebbero l’Isola dei Famosi e programmi di quel genere, ma non fanno proprio per me”. Vita sana, d’atleta: “Ho mangiato talmente tanta bresaola che è diventato il mio piatto preferito, senza contare la passione per le tagliate di carne. Magari capita di sgarrare con la pizza, quella me la fa mangiare Eleonora”.
Un agente come amico, un amico come agente
E poi i valori, “non toccatemi gli amici, sono quelli di una vita, la compagnia che frequentavo da ragazzino è la mia seconda famiglia. Loro però al sabato andavano a ballare facendo le ore piccole, io tornavo massimo alle 22 con la testa focalizzata alla partita della domenica”. Leader nato Gabriele, dalle giovanili della Pro Vercelli fino al Torino: “Sono nato a Gattinara (Piemonte), ho giocato nella Pro Vercelli fino agli esordienti, poi è arrivata la chiamata del Toro, il treno granata che mi ha cambiato la vita”. Crescita. Sacrificio. Voglia: “Da un giorno all’altro mi sono trovato ad arrangiarmi, prima facevo avanti e indietro, poi quando gli allenamenti si sono intensificati sono andato a vivere in convitto a Torino. Sono diventato grande all’improvviso”. Dagli Allievi alla Primavera, “da Capitano”. E portandosi nel cuore gli allenatori che più di tutti hanno creduto in lui, “da Andrea Menghini a Giuseppe Scienza, passando per Antonino Asta, che dalla Primavera del Torino mi ha portato con lui nella prima squadra del Monza, facendomi esordire nel calcio dei grandi”. Allenatori e compagni, come Andrea Gasbarroni, “uno fortissimo, super. Lo conobbi a Torino quando giocavo nelle giovanili, poi me lo ritrovai in spogliatoio a Monza. Un giorno, durante una partita, prima di una punizione mi avvicinai a lui e gli dissi: ‘Andre me la sento, la voglio calciare io, posso?’. Lui mi guardò, poi osservò la porta e infine mi sussurrò: ‘Certo, come no, vammi ad allungare la barriera”. Aneddoti e storie di campo: “Ovviamente quello coi piedi d’oro era lui, io però da sempre amo la potenza. Calcio spesso le punizioni”. Gabriele detto la…’dinamite’: “un soprannome diventato ufficiale nel 2011/12 quando giocavo nella Vigor Lamezia. Quest’anno, guarda caso, l’unico gol che ho segnato l’ho fatto da calcio di punizione”.
Dal Torino alla Vibonese, passando per Melfi, Lamezia, Monza, Arezzo e Cueno. Il tutto partendo da Vercelli: “Fino agli esordienti sono stati anni di libertà calcistica, ho vissuto il pallone come un sogno e nel frattempo ho coltivato grandi amicizie, come quella con Alessandro Orlandi: compagno di squadra ai tempi della Pro e ora mio procuratore assieme allo staff di Studio Assist & partners: vorrei ringraziare tutti quanti per la passione che mettono quotidianamente nel loro lavoro, e soprattutto per credere nel mio valore aiutandomi a dare sempre il meglio. Mi ricordo come se fosse ieri quando con Ale, alla Pro Vercelli, vincemmo un torneo a Modena contro squadre nettamente più forti di noi. Lui, però, prima che un assistito, mi considera un vero amico, ed è per questo che il nostro rapporto va oltre il calcio. Un mestiere in cui per molti sembra tutto facile, ma in realtà non è così, soprattutto in Serie C, in un campionato tosto, insidioso e spesso pieno di incertezze”.
Franchino ieri, oggi (27 anni) e domani: “Fra 15 anni mi vedo allenatore, voglio partire dai bambini, trasmettere i veri valori della vita e insegnare il calcio. Per iniziare anche come hobby mi andrebbe bene”. Umiltà come principio. Passione e mentalità come carburante: “Allegri è l’allenatore che mi affascina di più, è un vincente di natura, ma se devo essere onesto mi piacerebbe giocare per Gattuso. Sarei curioso di vederlo da vicino in panchina, per me è sempre lo stesso, grinta e cuore, caratteristiche che mi appartengono in prima persona”. That’s Franchino, lui che la Serie C l’ha girata ad ogni latitudine della nostra penisola: “Al nord i gironi sono più tecnici, ma al sud il settore ambientale fa la differenza: c’è un calore incredibile”. Come quello di Pippo Caffo, Presidente della Vibonese e produttore del Vecchio Amaro del Capo: “Un uomo straordinario, un imprenditore dal lato meravigliosamente umano capace di starci sempre vicino. Nelle festività ci regala sempre i suoi prodotti, una persona che nonostante il successo professionale è rimasta di un’umiltà incredibile. Addirittura si fa le trasferte con noi sul pullman”. E ora la gioia della C, “sperando di festeggiare anche la vittoria finale dello scudetto sorseggiando un po’ del nostro Amaro”. Dal campo alle nozze, dal dischetto all’altare: congratulazioni, ‘Dinamite’.