Il Pescara e la Juve, Zeman e Allegri: questione di ricordi, incroci e… filosofia
Quando Massimiliano Allegri, il 30 maggio 1993, affrontava e batteva per 5-1 la Juventus col suo Pescara, segnando anche due gol, Zdenek Zeman allenava il Foggia. Sì, proprio quel Foggia dei miracoli che in quella stagione sarebbe arrivato undicesimo a pari punti col Napoli, seconda salvezza consecutiva (l’anno dopo sarebbero diventate tre), la nascita di Zemanlandia. 24 anni dopo, Allegri non è più lo scanzonato e talentuoso centrocampista che faceva breccia nel cuore dei pescaresi, Zeman stenta un po’ di più a incantare come faceva, anche se in fondo non è mai cambiato.
Pescara-Juventus, sabato di Pasqua, somiglia tanto a quegli incroci tra strade in cui ci si deve fermare per forza, per dare la precedenza a ricordi e avvenimenti sliding-door. Così, immaginando un finestrino aperto e la radio accesa su una canzone che sa d’estate, la memoria torna a quel 5-1 dell’Adriatico. Lo ha ricordato anche oggi in conferenza, Allegri, avvisando i suoi: “Queste partite possono essere delle trappole”. Quella fu un trappolone, con la Juve come oggi reduce da un impegno europeo. Allora fu la finale di Coppa Uefa vinta contro il Borussia Dortmund, oggi è il quarto di finale di Champions League contro il Barcellona. D’accordo, si era più in là con la stagione, ma Allegri sa che non bisognerà scherzare.
Quello era il Pescara di Galeone, già retrocesso ma capace di appassionare durante la stagione precedente. Quel Galeone che fu determinante, per l’avvenire e la carriera di Allegri. Prima da giocatore, con il maestro che puntò su di lui per riportare il Pescara in A e poi in ottica panchina, aprendo la mente dell’allievo come futuro allenatore. “Mi ha trasmesso la voglia di diventare allenatore. Me ne sono reso conto dopo aver smesso di lavorare con lui. Mi aveva contagiato e mi rivedo in lui nella pulizia tecnica”. Dirà Allegri. Tecnica, tecnica, tecnica. La parola più usata nelle interviste e nelle conferenze. Tecnica, che conta più degli schemi. Talento dei propri calciatori da esaltare ma che dev’essere anche pronto al sacrificio, più importante forse della qualità di gioco collettiva. Ma l’importante, per Max, è il risultato.
Questione di filosofia. Opposta quella del boemo, che ha spesso sacrificato il risultato per la bellezza, per un’idea. Da qui anche la celebre avversione contro la Juventus, seppure circoscritta ad un preciso arco temporale: era forse, ancor prima che un’accusa, la contestazione di una mentalità che aveva la vittoria come fine supremo. Chissà, un po’ come Schopenauer che criticò Hegel perché secondo lui “usava” la filosofia per arrivare alla verità, facendone un mero mezzo. Questo però è semplicemente calcio, che scorre. E anche se Zeman “non rinnega” il suo passato e il suo pensiero, oggi, in conferenza, riconosce che questa Juve è tra le migliori squadre d’Europa, con tanto di complimenti ad Allegri. Che in Serie A ha affrontato due volte: una vittoria (Roma-Milan 4-2, 2012/2013) e una sconfitta (Cagliari-Juventus 1-3, 2014/2015).
Oggi la “bella”, con Pescara come palcoscenico. Non è più quella Pescara impazzita per la squadra di Galeone, Allegri adesso indossa giacca e cravatta, Zeman cerca di salvare la squadra. Nel recente passato ha insegnato calcio anche qui, ripetendo in parte quel miracolo Foggia con Insigne, Immobile, Verratti. Se non dovesse riuscire nell’impresa, magari ricomincerà ancora da qui la prossima stagione. Al futuro invece non pensa Max: il presente è molto più stimolante e 24 anni dopo averle inferto due colpi, il livornese che ama il mare può regalare alla sua Signora il momento che aspetta da così tanto tempo: la traversata è ancora lunga e a Torino si augurano possa toccare acque oltreconfine; Pescara è un porto fondamentale. La terra, però, comincia a vedersi.