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Il “Papu buono” illumina l’Atalanta. Poker al Frosinone, senza fascia colorata

C’era una volta un signore che rese orgogliosa la gente di Bergamo. Credeva molto in Dio e dall’alto veniva ricambiato. Si chiamava Angelo Roncalli e il mondo avrebbe imparato a conoscerlo come Giovanni XXIII. Per tutti, “il Papa buono”: Ognuno può diventare papa. La prova di ciò è che io lo sono diventato”, amava ripetere.

Sessant’anni dopo la sua elezione, c’è un argentino al suo posto. In Vaticano, ma anche nel cuore di Bergamo. E in fondo, cambia solo una lettera. Il “Papu buono” ha il 10 e una città intera sulle spalle. E se tutti possono diventare pontefici, nessuno oggi potrebbe essere Gomez.

Il suo esordio in campionato è stato un ciclone di classe, anche senza le fasce colorate che la moglie Linda disegnava personalmente. La Lega, con un provvedimento che profuma di cilicio, gliele ha vietate costringendolo all’omologazione. Che poi, alla fine, c’è stata solo a metà, perché la fascia ufficiale era troppo larga. Ne ha indossata una della società, col numero di fondazione ma senza Holly e Benji. Senza il tango, senza omaggi a nessuno.

Fantasia vietata sulle braccia, ma solo lì. Perché i colori sono arrivati dai piedi: un gol di destro, uno di sinistro e due assist mancini. Il poker dell’Atalanta contro il Frosinone lo firma tutto lui. Mattatore, genio e trascinatore. In estate sembrava sul punto di lasciare Bergamo, in una notte d’agosto la illumina d’immenso.

Sblocca la partita al 13’ e la chiude con una parabola magica sulla sirena. In mezzo ci mette due cioccolatini per Hateboer – prima rete in serie A – e per Pasalic, erede di Cristante per doni ricevuti.

Gomez ovunque, eroe semplice di un’Atalanta che torna a vincere la prima a dieci anni dall’ultima volta. Allora fu Padoin a trafiggere il Siena, oggi è una cavalcata che trova poca opposizione. Troppa differenza fra una squadra rodata dai preliminari di Europa League e una costruita negli ultimi giorni di mercato. Gasperini era alla panchina numero 334 in A, Longo era alla prima. Non la ricorderà con piacere. Gli resteranno negli occhi le magie del folletto di Buenos Aires e le travolgenti discese corali dei nerazzurri. Una batteria di coltelli nel cuore della difesa del Frosinone. Servizio completo a cura di Toloi, Gosens e un Hateboer in versione Andrea Conti. Un sosia tecnico, l’immagine migliore dell’Atalanta che cambia facce senza cambiare il risultato. Balla il Papu e balla tutto lo stadio, che aveva cominciato con un quarto d’ora di silenzio per una protesta della curva.

Solo tredici minuti in realtà, perché il Papu ha ridato i decibel a un pubblico spaventato al 10’ dal palo di Camillo Ciano. L’ultimo pallone che aveva toccato in B era valso la promozione contro il Palermo, il primo giocato in A vale solo un brivido. Il preludio di una tempesta parzialmente prevedibile. Impossibile, per esempio, arginare le galoppate di Hateboer. Olandese volante e per la prima volta esultante. Contento lui, felice Gasp e sicuramente anche il cane Zizou, un bulldog che l’esterno bergamasco porta in giro per le strade di Bergamo. Chissà se almeno lui riesce a stargli dietro. E chissà se Hans sa lanciargli la palla come la mette il Papu.

Che intanto, dopo 90 minuti, è capocannoniere della serie A. Più 8 al fantacalcio, più forte dei censori dei colori di Linda. Poco male, il Papu balla lo stesso: 50 gol nel campionato in cui arrivò in punta di piedi nel 2010. Da Catania alla Lombardia. Forse poteva andare a Roma. Come fece papa Giovanni XXIII. Ma Bergamo è il suo Paradiso. E il luogo, forse, dove essere davvero beato