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Il mondo di Michele De Agostini: il rapporto col papà Luigi, la Juventus e le ‘Notti Magiche’ d’Italia ’90. Tra ricordi e un sogno: “Voglio chiudere a Pordenone la mia carriera”

Un cognome pesante come stimolo in una carriera vissuta in Lega Pro, ma partita dall’Eccellenza: Michele De Agostini, terzino sinistro del Pordenone che milita in Serie C nel girone di B, ha scelto di essere sé stesso e di arrivare là dove le sue capacità glielo consentivano. Nessun rimpianto, ma tanti bei ricordi che a 34 anni conserva con orgoglio: Sono contento della mia carriera, so da dove sono partito. Sono felice di quello che ho raggiunto se mi guardo indietro. C’era l’ambizione di tornare a giocare in Serie B, ma non ho nessun tipo di rimpianto. Negli ultimi anni mi sono tolto tante soddisfazioni sia personali che di squadra. Una su tutte? Assolutamente gli ottavi di finale in Coppa Italia giocati a San Siro contro l’Inter. Quella partita per ragazzi come noi è quasi un punto d’arrivo. Mio papà c’ha giocato tante partite lì anche da avversario, quando uno entra in quello stadio capisce subito che qualcosa di importante e di buono, per una realtà come Pordenone è stato fatto. Al di là di come è andata”.



Già il papà, Luigi De Agostini, un monumento del calcio degli anni 80/90. Una carriera importante che ha fatto sognare un bambino, Lui, Michele, da ragazzino ha seguito ovunque il padre, lo ha ammirato, era il suo eroe, è il suo eroe. Perché avere un papà che gioca a calcio, in Serie A e assieme a tutti quei campioni è un po’ sapere chi è Superman e poterselo godere anche quando è solo Clark Kent. Ai microfoni di gianlucadimarzio.com, Michele De Agostini si è aperto raccontando tutto, ma proprio tutto del suo rapporto con il papà Luigi, delle ‘Notti Magiche’ di Italia ’90 e del suo amore per la Juventus: “Gli anni di mio papà con la maglia della Juve sono quelli in cui inizio a ricordarmi di lui come giocatore. L’abbiamo sempre seguito dovunque andasse sia io che mia sorella che poi è nata proprio a Torino. Sono stati anni meravigliosi per lui, ma anche per chi come me vedeva il proprio papà, il suo eroe giocare in Serie A assieme a dei grandi campioni. È stato fantastico. Mio papà mi ha lasciato la passione per la Juventus, sono un gran tifoso come tutti i miei cugini, siamo una banda di juventini. Tutte le partite di Champions League ci ritroviamo guardarle tutti assieme nel nostro covo, siamo sei o sette. L’anno dei Mondiali? È stato meraviglioso. Vedere giocare il proprio papà la Coppa del Mondo, con la maglia dell’Italia, è stato davvero incredibile, poi si giocavano in casa e tutto era ancora più incredibile e bello. Me ne parla ancora oggi: mi dice sempre che è sempre arrivato lì in semifinale e non è mai riuscito ad arrivare ad alzarla quella maledetta Coppa. Ero un bambino, ma ricordo benissimo la delusione di essere usciti ad un passo dalla finale, peccato. Però gli dico sempre: “Beato te che sei arrivato fino là!Tutto molto bello. Ma, ci tiene a sottolineare che… “Nel mio piccolo però, con il Pordenone, due semifinali le ho fatte e anche a me sono andate male. E la cosa divertente sapete qual è? Lo scorso anno ho sbagliato il rigore in semifinale contro il Parma nella stessa porta dove lui ha sbagliato contro la Fiorentina quel famoso rigore che Baggio si rifiutò di calciare. Ecco, questa è una cosa che ci accomuna. Si vede che per noi è una porta stregata quella lì”.


Ride e si diverte a ricordare questi particolari aneddoti, simbolo di un carisma e di una leggerezza non comuni. That’s De Agostini. E rimpianti? Zero, anzi sì… uno c’è: Il rammarico più grande è di non essere riuscito ad andare a vedere nemmeno una partita di papà durante Italia ’90 perché mia mamma non mi ha portato. Ero piccolino e avevo gli esami di terza elementare. Glielo dico sempre a lei: ‘L’unica cosa che non ti perdonerò mai è di non avermi portato a vedere il papà giocare dal vivo con la maglia azzurra”. Mai una gioia.

Michele è umile, non è uno di quei giocatori che parla coi se o coi ma, quello che ha avuto se lo è costruito tutto da solo. Fin da ragazzino, infatti, ha messo in chiaro le cose con suo papà: “In molti potevano pensare che essendo figlio di potessi essere raccomandato, ma non è stato proprio il mio caso. Io sono partito dall’Eccellenza. A mio padre lo dissi subito che non volevo spinte o aiuti. Gli ho proprio detto che se ce l’avessi fatta sarebbe stato solo per merito mio e di nessun altro“. Chapeau. Non avrà vinto la Champions League o giocato la Coppa del Mondo, ma Michele è un Campione dentro, d’altronde ha avuto un grande maestro.

Le maglie dei Campioni e gli idoli bianconeri visti con gli occhi di un bambino:

Chiudete gli occhi e immedesimatevi in lui, da bambino. Papà giocatore di Serie A, titolare nella Juventus e circondato da campioni coi quali scambiarsi la maglia al termine di ogni gara. La prima cosa bella da sfruttare qual è? Indossare tutte le maglie che porta a casa e immaginarsi per un breve e magnifico istante di essere uno di quei campioni, di calcare i prati verdi dei più grandi stadi del mondo e sentire, per un momento, il vento che sembra soffiarti nelle orecchie il tuo nome cantato da una folla estasiata. Quando eravamo piccoli ci prestava le sue maglie, a me e ai miei cugini per fare delle partitelle. Facevamo un due contro due nel cotile dei miei nonni. Ci aveva comprato anche le porticine. Siamo praticamente cresciuti giocando a calcio. Facevamo finta di essere giocatori di Serie A con le maglie di Sampdoria, Milan, Juventus… io mi prendevo sempre la maglia della Samp di Mancini o Vialli. Ero innamorato dei blucerchiati, in quegli anni erano fortissimi. Poi ogni tanto sceglievo Gullit, Matthaus o Baggio. Eravamo molto legati ai numeri 10, alle bandiere, adesso non ci sono più questo tipo di calciatori, ma che bello! Che cos’è la poesia? Questo.


Ricordo che quando lui mi portava al campo palleggiavo spesso con Baggio e Schillaci. Ho questi ricordi bellissimi, giocatori di una classe superiore, per un bambino era il massimo. Se me ne vantavo a scuola? Ma sicuramente sì, da bambino… come non potevo rinfacciare di conoscere quei giocatori che per tutti erano degli idoli, ma ero un bambino. Fortunatamente crescendo mio papà mi ha insegnato l’umiltà anche se credo mi sgridasse già all’epoca quando mi vedeva alzare la cresta con gli altri”. Ride adesso, ma le sgridate e i rimproveri sono serviti molto perché se l’uomo di oggi è così, il merito è anche del papà. Un rapporto bellissimo, un legame solido costruito fin da piccolo. Una marea di consigli, da quando ha mosso i suoi primi passi nel Tricesimo Calcio, che Michele ammette essergli utili anche oggi che ha 34 anni. Il modo migliore per sottolineare questo legame? Vestire il suo stesso numero di maglia: Gioco col 3 perché era anche il numero di mio papà. Anche se lui ha un record particolare: ha vestito tutti i numeri – tranne quelli del portiere – dal 2 al 18. Anche il 9 e il 10, quest’ultimo numero lo usò in nazionale negli Europei dell’88. Dopo Platini penso che sia stato il primo ad indossare quel numero alla Juventus, una volta i numeri avevano un fascino ancora maggiore dato che non c’erano i nomi sulla maglia”.


Il quadro rotto:

Giocava in cortile, è vero, ma anche in casa. E come tutti gli amanti del pallone di disastri ne ha combinati tanti. Uno in particolare se lo ricorda come fosse ieri: “Se ho rotto qualcosa in casa giocando col pallone? Si sì è capitato anche a me. Sicuramente ho rotto un quadro. Ho rotto il vetro che ricopriva il quadro, me lo ricordo come se fosse ieri. Ho pianto tanto anche dopo che ho fatto il danno perché ho detto: ‘Adesso mi fanno il culo!’ Però devo dire che il quadro ne ha giovato… si vedevano meglio i colori. È ancora lì quel quadro, ormai è storia”. Adesso ride, ma dalla sua voce traspare ancora oggi una punta di preoccupazione e un velo di paura per il danno fatto. Un grande!

Le passioni: NBA, Fantacalcio, Playstation e Bob Marley

“Seguo tanto il basket. Uso Facebook solo per seguire la NBA: ho messo il like a tutte le pagine ufficiali delle squadre e in più seguo quelle che parlano di basket. Mi ha avvicinato mio papà alla pallacanestro perché mi ricordo che mi parlava spesso dei New York Knicks, la sua squadra preferita. Poi credo a inizio anni 90 vidi, una gara in diretta della NBA tra Houston Rockets e proprio i Knicks e mi innamorai anche io di questo sport. Io da lì ho iniziato ad appassionarmi e ovviamente il mio idolo era Michael Jordan. Quando giocava lui spesso lo guardavo, rimanevo tutta la partita in piedi sul divano: gli ho visto fare cose incredibili, non potevo restare seduto. L’unica cosa che mi dispiace, e spero di riuscire a sopperire a questa mancanza a breve, è di aver visto una partita della NBA dal vivo. Prima o poi lo farò. La mia squadra preferita? Los Angeles Lakers. Dopo Jordan c’è stato Kobe Bryant che mi ha fatto innamorare di questo sport e quindi di conseguenza i Lakers, ma sono sincero oggi tifo per Marco Belinelli”.

Da piccolo c’era il calcio e anche il fantacalcio. Già perché Michele ha vissuto proprio il boom di questo gioco che ha cambiato e condizionato una generazione, ma adesso a 34 anni ha detto basta: “È un gioco che mi piace tantissimo e l’ho visto nascere. Ci ho giocato per tantissimi anni. Ora non ci gioco più perché non avrei tempo e modo di seguirlo, non sarei capace di stragli dietro. Qui a Pordenone i miei compagni ci giocano, vedo loro giocarci, fare aste e mi diverto. Quando ero piccolo mi divertiva tantissimo anche se non ho mai vinto. Perché? Mi svenavo per comprare mio papà e non mi restavano soldi per comprare altri giocatori. In porta, invece, sempre Tagliatela, ma quelli erano gli anni della Juventus e del Milan, quindi si cercava di prendere i giocatori di quelle squadre. Ma era tutta un’altra cosa rispetto ad adesso. Prima si facevano i conti a mano, non era semplice: bisognava aspettare il martedì con la pagina dedicata e i conti già fatti dalla Gazzetta. Era un’attesa infinita”. Insomma un fantallenatore comune che attende i risultati del fantacalcio con l’ansia degna dell’esame di maturità.


Calcio sì, ma anche tanta alla Playstation dove gioca a Nba 2K18 e a Pro Evolution col Pordenone: “Siamo stati aggiunti al gioco dalla Konami dopo la provocazione dei nostri social media manager prima della gara di San Siro contro l’Inter e quindi ho iniziato a fare la carriera con la mia squadra in Serie B. Valori giusti? Si sì ci hanno fatti scarsetti… però ti dico la verità ho aumentato un po’ i nostri valori, sennò era dura vincere. Ma non di tanto sono stato onesto eh! Ci crediamo poco, ma va bene dai, te la abboniamo. Non solo la passione per il pallone, ma anche per la musica e Bob Marley: Musica? Vasco Rossi, sarò andato a vedere una quindicina di suoi concerti, e Bob Marley. Non ho una canzone preferita, ma sono legato ad un album che ho trovato in soffitta da mio nonno che lo ha comprato nell’81 a Kingston in Jamaica. Si intitola Uprising. Ci sono tutte le mie canzoni preferite dentro quell’album. La mia preferita? Is This Love, mi lega un po’ a mia figlia questa canzone perché tutte le volte che siamo in macchina mi chiede di metterla e la cantiamo assieme. Come mai questo genere? Ho degli amici che suonavano reggae e io ho voluto imparare a suonare la chitarra e abbiamo tirato su un piccolo gruppo così per divertirci. Ci siamo dati anche un nome: I Ragazzi del Commissariato. Abbiamo fatto qualche canzoncina con l’Armando, il nostro cantante che scrive anche i testi delle canzoni. Oltre al calcio per me c’è la musica”.

Un ragazzo comune, con passioni comuni e amici particolari con i quali condividere il tempo libero. Una famiglia bellissima, zero tatuaggi “Sennò a casa non ci rientravo mica” e l’amore per le cose normali come la pasta al sugo della mamma. Un giocatore di altri tempi che ci ha aperto la porta più importante, quella del suo cuore. E ora? Il meglio deve ancora venire, ma una certezza ce l’ha: “Voglio chiudere a Pordenone la mia carriera”. In bocca al lupo, Campione!