Il ‘martello’ mamma Cinzia, i tre giorni di provino e quel presidente che non lo voleva in campo: “Falcinelli può diventare il nuovo Ravanelli”
Un nome: Diego. Che nel calcio qualcosa ha significato. Se poi a questo nome abbini gol decisivi per il tuo Crotone e per tutti i fantacalcisti che hanno investito su di te, il gioco è fatto. Web scatenato: Falcinelli mania a suon di meme. Eroe da 11 gol stagionali. Ragazzo genuino, di quelli che stanno simpatici a pelle. Di quelli che piacciono anche perché sono partiti da lontano. Precisamente dalla Serie D fino allo stage azzurro. Seconda convocazione dopo quella di febbraio. Falcinelli ne ha fatta di strada dai tempi del Pontevecchio quando “veniva al campo accompagnato sempre dalla madre, Cinzia – racconta in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com il suo allenatore di quei tempi, Giulio Franceschini – la mamma lo seguiva dappertutto. Era parte integrante, la sua prima tifosa, veniva a vedere gli allenamenti e cercava in ogni modo di tenerlo sul pezzo. Un martello”, continua l’allenatore ridendo. “E quanto si faceva sentire! Tanto che a volte Falcinelli le diceva sorridendo: ‘Mamma, me la vedo io, tranquilla!’. Mentre il padre, con una moglie così, quasi non ne voleva sapere del calcio”. Risata contagiosa, quella di Franceschini. E pensare che “il nostro presidente era un tipo vulcanico: ogni volta mi strapazzava quando facevo giocare Falcinelli titolare in prima squadra visto che era ancora molto giovane. Non dimenticherò mai quella volta in Coppa Italia ad Orvieto: quante urla dalla tribuna quando lo vide in campo!”. Ma “io stravedevo per lui e dopo qualche difficoltà iniziale segnò anche 5 gol”. Non era l’unico ad intravedere certe qualità nell’attaccante. “L’anno che vinse il campionato con gli Allievi realizzando più di 30 gol lo chiamò l’Inter per tre giorni di provino. Io gli spiegai l’atteggiamento e la mentalità da tenere per riuscire a convincerli e quando tornò era andato tutto alla grande, mi diceva che l’avevo indirizzato bene. Gli rompevo sempre le scatole sui contromovimenti e lui 15 giorni fa al telefono me l’ha ricordato: ‘Mister ti ricordi quando mi spiegavi i contromovimenti? Ecco, a qualcosa mi sono serviti…'”. Tuttavia la parentesi all’Inter non fu indimenticabile. Anzi. Poca continuità e ritorno al Pontevecchio. “Dopo la delusione all’Inter poteva subire un contraccolpo piscologico ma così non è stato e ci ha sempre creduto. Quell’esperienza però gli servì a farlo crescere: diventò più uomo. Era un predestinato: aveva la testa giusta e la voglia di non mollare mai”. Carattere e personalità. “E un’altra marcia rispetto ai suoi coetanei. Pensava solo al calcio; fuori dal campo invece è sempre stato un ragazzo educato e inquadrato. A quei tempi andava ancora a scuola, poi”. Un solo difetto… “il destro lo usava esclusivamente per salire sull’autobus – ride di nuovo – ma quel mancino davvero tanta roba! Quando ci siamo rivisti anche con altri ex compagni gliel’avevamo predetta questa chiamata in Nazionale”.
Insomma, quel Pontevecchio fu il trampolino di lancio del Falcinelli ammirato oggi sui campi di Serie A. Forse anche perché “è sempre stato un grandissimo tifoso della squadra: quando vincemmo la finale di Coppa Italia lui non faceva ancora parte della prima squadra ma ci seguì e si arrampicò su una balaustra per fare il tifo”, continua il racconto Fabrizio Nofri, ex capitano di quel Pontevecchio in cui da lì a poco l’attaccante del Crotone avrebbe mosso i primi passi ‘tra i grandi’. “Si aggregava con noi fin dagli Allievi. Falcinelli prometteva già benissimo anche se aveva un piccolo difetto: gli mancava un pizzico di cattiveria che invece ha acquisito in questi ultimi anni. Ma si vedeva come fosse un predestinato e quando lo rividi tempo fa gli dissi: ‘Diego ti convoca in Nazionale. Ne sono sicuro, vedrai…’. Ribadendoglielo poi circa due settimane fa: ‘La prossima ti convoca’. Lui rispose: ‘Ce la metterò tutta ma ce n’è ancora di strada da fare’”. Detto, fatto. Merito dei suoi gol. E “del suo carattere. È un ragazzo d’oro e molto umile: non si è mai montato la testa. Secondo me può ripercorrere la carriera di un mio grande amico come Ravanelli: come tenacità li vedo molto simili”. Senza dimenticare mamma Cinzia, diventata vero e proprio simbolo di quegli anni al Pontevecchio. E chi se la scorda: “Si faceva sempre sentire, forse un po’ troppo (ride, ndr). Ma la mamma è la mamma…”. E Falcinelli ne sa qualcosa. Dopotutto è sempre lei ad avergli donato anche quel nome, Diego. Che abbinato agli 11 gol realizzati in A ha reso l’attaccante perugino idolo per Crotone, per il web e per i fantacalcisti. Ma soprattutto nuovo profilo per la Nazionale del futuro.