Il Leicester siamo noi: il sogno di una città e la realtà della vita
Un solo modo per spiegare il motivo per cui il Leicester ci abbia fatto sognare in questi mesi. Il Leicester siamo noi, comuni mortali, che affrontiamo la vita di tutti i giorni con un sogno nel cassetto. Il Leicester sei tu.
Il Leicester è un ragazzo ventenne, che durante il giorno lavora in fabbrica e la sera si allena con la sua squadra, sperando nell’occasione giusta. Di continuare gli studi, non se ne parla. Non era proprio portato. Allora via ad intrecciare infinitesimi fili di vetro per otto ore. La testa può viaggiare, nel frattempo, verso lidi più sicuri. Verso la partita della domenica: dicono che arrivi quell’osservatore. Come successe per Jamie Vardy. Salire di due categorie, magari: un rimborso spese che profuma di stipendio e poi chi lo sa… Gong. Turno finito, si va al campo per l’allenamento. E quel padre di famiglia, con la sveglia puntata alle 06:05. Il treno non aspetta. Un bacio sfuggente ai figli, illuminati parzialmente dalla luce del telefono ancora sotto le coperte. La storia di un uomo che costruisce un futuro per i propri bimbi, nell’attesa di godersi, con una lacrima nascosta, il loro sorriso stampato in viso, il giorno della laurea. Kasper Schmeichel non sarà passato da Oxford, ma il padre Peter può essere fiero di lui.
Come non pensare poi ad un pensionato, che vede nello sguardo dei nipoti la vita che gli scorre via, con la speranza di avere scritto una parte della storia della sua famiglia. Cerca di aiutare i figli a non commettere gli errori che lui stesso ha fatto con loro. In cambio il sorriso dei bambini, la serenità dei figli, la consapevolezza di aver dato tutto e di aver conquistato uno ‘scudetto’ personale che trent’anni prima non aveva neanche il coraggio di nominare. Un pensionato, già, come l’etichetta conferita a Ranieri dopo il default greco. Poche trattative in estate, la pista Cagliari e poi l’approdo al Leicester, tra lo scetticismo di tabloid, colleghi ed allibratori inglesi. Smentiti sul campo e nelle sale stampa, con un’eleganza che più british non si può. Leicester è anche attualità: un ragazzo emigrante, con l’ombrello sempre aperto sulla pioggia di pregiudizi e col pensiero ai suoi cari distanti, nell’attesa di trovare il proprio posto nel mondo. Magari come Riyad Mahrez, orgoglioso algerino da poco eletto miglior giocatore della Premier League. E’ dura sconfiggere la diffidenza di chi non ha cultura per capire che la razza, la religione ed il passato non sono un ostacolo ma un’occasione per essere migliori. Più completi. In questo caso il miracolo è ancora più grande: bisognerebbe accoppiare almeno una FA Cup ed una Champions League per ambire a tanto.
Ma oggi il Leicester non è più solo una storia di speranza: è un attestato di certezza. Come un manager in carriera, che si pone senza paura obiettivi autosfidanti per aumentare di livello la sua posizione lavorativa. Proiezioni economiche, presentazioni mirabolanti, contrattazioni estenuanti. Notti in bianco, qualche pastiglia contro l’acidità di stomaco per digerire i bocconi amari o le cene più impegnative coi Clienti. Chissà quante per Vichai Srivaddhanaprabha, presidente del Leicester ed imprenditore thailandese. Ogni giorno si alza l’asticella per ottenere qualcosa di più. Un contratto, un Cliente. La Champions League o la conferma ai vertici. Per non essere meteora di un firmamento che dura dalla notte dei tempi.
Ognuno, a proprio modo, è il Leicester: realtà diverse con una vita apparentemente normale. Le bollette di fine mese, il lavoro che va e non va, le occasioni che non arrivano. Se un evento, per quanto straordinario, può aiutarci a pensare che anche l’impossibile può concretizzarsi… allora perché no? Tutti noi possiamo essere, anche per un giorno, il Leicester.